Erano 7922 i partigiani in azione in Piemonte provenienti dalle sei regioni del sud: Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Sardegna e Campania. Sono dati dell’Istituto Storico della Resistenza di Torino, approssimati per difetto piuttosto che per eccesso: abbastanza per contraddire il luogo comune che vuole che la Resistenza sia stato un fatto del nord.

Non si tratta solo di soldati meridionali sbandati che salgono in montagna nella impossibilità di tornarsene a casa dopo la disgregazione dell’esercito seguita all’8 settembre del ‘43; certo c’è anche questo, ma riguarda loro come riguarda i ragazzi di qua. Si tratta soprattutto di giovani che scelgono da che parte stare, animati da un sincero desiderio di dare il loro contributo al riscatto della patria, che sanno vedere i disastri a cui ha portato il fascismo e che hanno compreso la mostruosità del nazismo. Quando non si tratti di antifascisti convinti da tempo…

A muoverli, oltre alla forza delle circostanze, sono ragioni ideali e legami istintivi, scelte di testa e scelte di cuore, o meglio di pancia, come si direbbe adesso. E qua e là opportunismo, certo.

Le loro storie vanno da quella di Pompeo Colajanni da Caltanissetta e Vincenzo Modica da Mazara del Vallo, assurti ai più alti comandi delle divisioni garibaldine, tra i principali protagonisti della Liberazione di Torino, a quella di Giuseppe Argento da Canicattì, unitosi il 15 agosto del ‘44 alla banda di Enrico Gay dopo chissà che peregrinare, catturato all’alba del 19 alle bergerie del Ghinivert nell’agguato in cui venne ferito a morte Enrico Gay stesso, e impiccato due giorni dopo a Perrero con le mani legate dietro la schiena con un fil di ferro che gli tagliava le carni: con ogni probabilità il più breve periodo di partigianato censito dall’Istituto Storico della Resistenza di Torino. Alla storia di Giovanni Ortoleva da Isnello nelle Madonie a sud di Cefalù, uno dei ventuno martiri di Salussola, che trovò nel distaccamento garibaldino “Zoppis” operante nel biellese “la sua divisa, i suoi compagni, i suoi amici” che non poté tradire nemmeno di fronte alla morte.

Per molti dei sopravvissuti ci sarà il ritorno in un sud lontano mille chilometri dalle loro vicende, non solo geograficamente ma soprattutto culturalmente. Nell’Italia del dopoguerra che porterà in tribunale molti partigiani e che ha fretta di dimenticare, tornare al sud da partigiano che ha combattuto nelle montagne del Piemonte o nelle colline delle Langhe, è volgersi alla incomprensione totale.

Forse questo ha qualcosa a che vedere col fatto che Vincenzo Modica finì con lo stabilirsi definitivamente a Torino, e che solo lo scorso 25 Aprile Mazara del Vallo ha apposto una lapide alla casa che gli diede i natali.

Ma piuttosto che a questa distanza fisica e culturale tra Resistenza in Piemonte e sud d’Italia, ci piace pensare a Vincenzo Modica da Mazara del Vallo che a Vigone fa una discreta corte una giovane sfollata di Torino che finirà per sposare dopo la guerra, e a Pompeo Colajanni da Caltanissetta in divisa da tenente del Nizza Cavalleria fotografato mentre passeggia a braccetto con la bricherasiese che diventerà sua moglie.

Nella foto, in primo piano da sinistra, Vincenzo Modica “Petralia” e Pompeo Colajanni “Barbato” a Montoso nel 1981.