Per una serie di circostanze casuali e di condizioni ambientali legate alla presenza della chiesa valdese, Torre Pellice si trovò ad essere al centro delle vicende del Partito d’Azione.

Già prima dello scoppio della guerra Francesco Lo Bue, pastore valdese e insegnante al Collegio, e Jacopo Lombardini, assistente al Convitto, entrambi aderenti al Partito d’Azione, animavano un ristretto gruppo di operai e studenti antifascisti che si ritrovava nel retrobottega del “Caffè d’Italia”.

Il gruppo aveva solidi contatti con le direzioni del partito di Milano e Torino grazie a Mario Rollier, assistente al Politecnico di Milano che aveva casa a Torre Pellice, e al giudice Giorgio Agosti, torinese sfollato a Torre, e poteva giovarsi della guida di antifascisti di lunga data che vi avevano trovato sistemazione reduci dal confino di Ventotene, Vittorio Foa, Michele Giua, Altiero Spinelli.

A Torre Pellice soggiornarono per periodi più o meno lunghi esponenti di spicco del Partito d’Azione, Mario Andreis, Leo Scamuzzi, Leo De Benedetti, Franco Venturi, Franco Momigliano tanto che il 9 settembre del 1943 l’esecutivo piemontese del Partito vi si spostò, grazie anche al fatto di potere disporre di una “insospettabile” tipografia per stampare materiale clandestino e i “Nuovi Quaderni GL”, la Tipografia Alpina, che aveva sede proprio dirimpetto al comando fascista.

Dopo l’armistizio vi passarono Ada Gobetti, Dante Livio Bianco, Leo Valiani, Willy Jervis e Ferruccio Parri per riunioni in cui la questione dell’organizzazione della lotta armata fu sempre all’ordine del giorno, e fu a Torre Pellice che venne concepita l’organizzazione delle formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” e a Torre Pellice che nel corso di una conferenza semipubblica Altiero Spinelli enunciò i principi del federalismo europeo che sarebbero stati presto sanciti nella Dichiarazione di Chivasso.

Verso la fine del 1943 il gruppo, al cui interno erano andate affermandosi le capacità direttive e organizzative di Gustavo Malan, Paolo Favout, Sergio Toja e Giulio Giordano cominciò a costituirsi in banda armata del Partito d’Azione operante all’interno di quelle che diventeranno le formazioni “Giustizia e Libertà”, primo nucleo della V Divisione Giustizia e Libertà che sarà intitolata a Sergio Toja, uno dei primi caduti in combattimento; ad esso si affiancarono altri gruppi in alta valle o in val Luserna nati spontaneamente o per l’incessante opera di reclutamento.

Su un altro versante, l’armistizio dell’8 settembre e lo sbando dell’esercito regio portarono cospicui nuclei di militari a scegliere la lotta armata in appoggio alle forze alleate e folti gruppi di renitenti alla leva per la neocostituita Repubblica Sociale a rifugiarsi in baite d’alta montagna in attesa di scegliere il da farsi.

A sud della val Luserna, nella confinante valle Infernotto e sul monte Bracco nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre si costituirono formazioni partigiane di orientamento comunista sotto la guida di ufficiali dell’esercito regio, Pompeo Colajanni, Vincenzo Modica, Nanni Latilla, e di esponenti di primo piano del partito clandestino, Dante Conte, Ludovico Geymonat, Giovanni Giolitti, Giancarlo Pajetta. Riunite sotto l’insegna di battaglione “Pisacane” delle Brigate Garibaldi ampliarono la loro zona d’azione in val Po, val Varaita e in pianura; una di queste formazioni, operante sulle alture di Montoso e sconfinata in val Luserna durante un rastrellamento con il consenso del comando GL, vi si insediò fino alla Liberazione. I suoi rapporti con i giellini della rimanente val Pellice furono di stretta collaborazione anche se non mancarono polemiche, ma le loro sono due storie diverse.

L’album di famiglia dei nostri partigiani

Avvertenze

Selezionare tra i fondi delle sezioni ANPI della Val Pellice le fotografie che possano accompagnare un racconto della Resistenza in valle è una operazione delicata di cui vanno dichiarati in anticipo i criteri.

La Val Pellice non ha avuto il suo Ettore Serafino, il comandante fotoamatore delle formazioni autonome della Val Chisone, o il suo Carlo Buratti, il dottor “Aspirina” delle bande del biellese che, curioso fotoamatore, ci ha lasciato preziosissime diapositive a colori della sua guerra partigiana.

Le fotografie che ritraggono i nostri partigiani sono per lo più ritrattistica, in pochi casi risalente al periodo della clandestinità, spesso ai giorni della Liberazione e alle settimane successive.

Se vogliamo cercare documentazione fotografica prossima quanto più possibile ai fatti e alla realtà della guerra, occorre escludere la pura celebrazione e rievocazione e selezionare tra la ritrattistica quanto sia meno condizionato dalla postura.

In base a questa distinzione, abbiano riportato nell'”Album di famiglia” dell’area tematica “La nostra gente” le fotografie del genere ritrattistico sia risalenti al periodo della clandestinità che successive, sotto “Lampi di guerra” dell’area tematica “La nostra guerra di Liberazione” le fotografie più prossime ai fatti di guerra fino ai giorni della Liberazione, e nell'”Album dei ricordi” dell’area tematica “La nostra memoria” tutte le fotografie successive.

In “Patrimonio fotografico” nella stessa area, le fotografie invece sono presentate per fondo, senza alcuna selezione.

E’ una operazione delicata ma possibile e utile. O più precisamente, indispensabile.