La singolare disavventura di Vincenzo Modica che non è ancora Petralia

La storia di Petralia, il comandante della 105^ Garibaldi che ha combattuto in queste montagne, portabandiera della cerimonia ufficiale della Liberazione di Torino, cominciò con una singolare disavventura a bordo del treno per Torre Pellice, e non fosse stato per tre donne di Bricherasio rimaste senza nome, quella storia non sarebbe forse nemmeno cominciata.

L’8 settembre 1943 il sottotenente di complemento Vincenzo Modica da Mazara del Vallo di stanza a Cavour si trovava al forte di Exilles; il 10, indossati abiti civili e messe poche cose nello zaino, senza dimenticare la pistola, prese il treno per Torino deciso a raggiungere il tenente Colajanni che aveva già avuto modo di conoscere, sicuro di trovarlo da qualche parte nelle montagne tra Barge e Bagnolo. Non gli aveva forse sentito dire pochi giorni prima, indicando il Monviso: “Guardate quelle montagne, presto saranno piene di veri italiani”?

Trovò Porta Nuova affollata di “uomini maturi, giovani, ex soldati che avevano smesso la divisa, mal conciati come me che cercavano di raggiungere una loro destinazione”; proseguì per Pinerolo, dove venne a sapere che la città era occupata dai tedeschi e che una buona parte degli ufficiali di cavalleria, convocata dal generale Barbò, era stata fatta prigioniera; si affrettò a fare il biglietto e salì sul treno per Barge e Torre Pellice.

Così scrive in “Dalla Sicilia al Piemonte. Storia di un comandante partigiano”, Franco Angeli Editore, 2002.

Nello scompartimento entrarono tre signore di media età, erano certamente contadine che avevano fatto il mercato a Pinerolo. […] Io guardavo timido le tre donne di fronte a me dall’aspetto florido che con le loro lunghe vesti nere coprivano tutto il vuoto sotto il loro sedile. Continuavano a parlare del loro mercato, dei loro familiari che erano lontani alla guerra: fratelli, mariti e figli dei quali non avevano notizie. Parlavano anche dei giovani che erano stati catturati e fatti prigionieri dei tedeschi. Ogni tanto mi guardavano sotto occhio, dal loro confabulare avevano certamente capito che io ero uno dei tanti giovani che avevano lasciato la divisa da poco tempo. Il treno si era messo in movimento e tutto faceva credere che si dovesse procedere normalmente ma ad un tratto una giovane donna si affaccia alla porta del nostro scompartimento e grida: ‘Attenzione, attenzione! Sul treno ci sono i tedeschi che stanno facendo un rastrellamento. Hanno già fermato diversi giovani’. In quell’attimo certamente sbiancai in viso poiché le tre donne mi guardarono, senza un attimo di esitazione fecero largo tra di loro, una mi afferrò per un braccio e mi incitò: ‘Fieul curagi, ven si suta’. Un’altra aveva preso lo zaino, tutt’e tre mi spinsero sotto la panca, si ricomposero e assieme ripresero il loro conversare.

Dopo qualche minuto i tedeschi erano davanti al mio scompartimento, guardarono, […] salutarono le mie tre protettrici e chiesero se avevano visto soldati italiani; la risposta fu, naturalmente, negativa. Poco dopo il treno si fermava in aperta campagna, la pattuglia tedesca scese. […] Dopo qualche minuto ero a Bricherasio.

Ringraziai le mie protettrici, scesi e con mezzi di fortuna raggiunsi a tarda sera Cavour dove chiesi subito notizie del tenente Colajanni e degli altri colleghi ed amici.

Colajanni era appena partito con una colonna di ufficiali e soldati in direzione di Barge, con due autoblindo e tutte le armi che avevano potuto caricare. L’indomani Modica lo cercò ma non fu facile trovarlo: “Colajanni era scomparso e al suo posto era subentrato “Barbato’”. Lo incontrerà il giorno dopo al ciabot della capoloira, la prima base partigiana del monte Bracco. “Mi fu detto che dovevo anch’io avere un nome di battaglia: Barbato propose ‘Petralia’. Quel giorno iniziò il mio 8 Settembre.”

Il Comandante, ritratto di Vincenzo Petralia realizzato nel 1944 dallo scultore Roberto Terracini, sfollato a Rorà sotto il falso nome di Ferraguti, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche.