Caccia ai nazisti

Conferenza tenuta a Cumiana il 17 maggio 2025 nell’ambito delle iniziative promosse dalla locale sezione ANPI in occasione dell’81° anniversario della strage di Cumiana.

Marco De Paolis, il magistrato che ha istruito oltre 500 procedimenti per crimini di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale quale Procuratore capo della Procura Militare di La Spezia dal 2002 al 2008 e di quella di Roma dal 2010 al 2018, dialoga con Alberto Custodero, il giornalista che nel 1994 scovò in Germania il tenente Renniger, responsabile della Strage di Cumiana e ne permise l’incriminazione.

Abstract: dopo il ritrovamento dell’armadio della vergogna dove furono dimenticati centinaia di procedimenti istruiti nel primo dopoguerra contro criminali nazisti, il lavoro tenace e ostinato di un magistrato che crede nel valore simbolico dell’atto di giustizia “nonostante il lungo tempo trascorso” per lenire le sofferenze di migliaia di famiglie e per preservare il valore civile della memoria.

QuiNonostante il lungo tempo trascorso”, un breve documentario sull’armadio della vergogna.

Qui gli atti completi del processo per la strage di Sant’Anna di Stazzema con PM il dott. De Paolis.

Qui il decreto di fissazione dell’udienza preliminare per la Strage di Cumiana. Il processo non approdò alla sentenza per avvenuta morte dell’imputato Anton Renninger, che comunque non si presentò in udienza.

Qui il racconto della Strage di Cumiana nel Memorial a essa dedicato.

(Testo della conferenza trascritto da TurboScribe.ai e revisionato da anpivalpellice.it )

[…]

[Alberto Custodero]

Il processo di Cumiana è andato a buon fine ma è ovvio che questi processi, ce lo confermerà poi anche il procuratore, alla fine, quando sono stati fatti, dopo la cattura di Priebke, erano dei processi che avevano un’importanza [certo] giudiziaria ma soprattutto storica.

[…]

Cos’è successo? Quando si parla di questi argomenti entra prepotentemente in campo la politica. Perché? Perché i crimini di guerra fatti tra il ’43 e il ’45 erano stati fatti di concerto tra i nazisti e i fascisti della Repubblica Sociale Italiana. E quando a un certo punto quei tribunali speciali sono stati istituiti, i processi per collaborazionismo nei confronti dei fascisti, delle brigate nere, dei torturatori, delle spie dei nazisti, di quelli che avevano collaborato a fare le stragi, la deportazione degli ebrei e quant’altro di più nefasto era stato fatto in quegli anni, si era posto un problema di sicurezza pubblica a livello politico. E come voi sapete c’è stata una paginetta un po’ poco bella della nostra prima Repubblica che è quella della resa dei conti, cioè la caccia non ai nazisti ma ai fascisti, e ci sono stati tanti morti. Non va confusa con la Resistenza, quella pagina della resa dei conti, perché è stata fatta dopo l’aprile ’45.

Per porre fine a quella pagina che avrebbe comunque sconvolto la ripresa e la ricostruzione dell’Italia che era un cumulo di macerie, a un certo punto un ministro della giustizia dell’epoca, comunista, Togliatti, credo conosciuto, decise di fare l’amnistia per i reati dei fascisti. E quindi caccia ai nazisti e ai fascisti, diventa per mano politica caccia ai nazisti e basta. I fascisti escono di scena nonostante abbiano avuto importanti ruoli di responsabilità come Marco Comello ci ha spiegato tante volte anche nella strage di Cumiana.

Poi c’è stato un altro intervento politico perché comunque sono proseguiti i processi per le stragi commesse dai nazisti, cioè dai tedeschi, l’esercito occupante: a un certo punto c’è stato un problema diplomatico, e cioè si doveva far riprendere la Germania. La Germania era un cumulo di macerie e la ripresa dei rapporti diplomatici veniva un po’ interrotta dal fatto che ci fossero dei paesi che chiedevano i danni, “ah! Però ci avete fatto le stragi e dovete pagarci.”

E c’è stato anche un altro problema che si è sovrapposto, che nei primi tre anni della guerra anche gli italiani avevano commesso stragi insieme ai nazisti in vari paesi. E allora c’era il problema che forse se noi chiedevamo i danni alla Germania nel periodo 1943-1945, poi c’erano magari altri paesi che chiedevano i danni all’Italia per i crimini di guerra che gli italiani avevano commesso nei primi tre anni di guerra. Tant’è che c’erano già 900 criminali di guerra italiani censiti dagli inglesi, come Gianni Oliva ha scritto in un libro che consiglio di leggere [Gianni Oliva, «Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani 1940-1943. 2007 Mondadori Ed.]

Capite che la situazione era un pochino complicata, non c’è stata una volontà secondo me di insabbiamento. E’ stata quella che in gergo si chiama ragione di Stato. A un certo punto hanno detto basta, sappiamo tutto, mettiamo in un armadio tutti questi procedimenti, e questo armadio nascondiamolo in un corridoio della corte d’appello della procura militare di Roma eccetera eccetera, e facciamo dormire tutti quei processi per tanto tempo in modo che così si riprendono i rapporti diplomati, si riprende l’Italia. Come in effetti è successo.

E’ stato fatto bene, è stato fatto male? Certamente è stato male dal punto di vista giudiziario, no?

Però a un certo punto arrestano Priebke, Priebke aveva commesso la strage delle Fosse Ardeatine, e cos’è successo? A un certo punto hanno detto ma noi per questo processo, per questa strage abbiamo già condannato il capo di Priebke, che era un capitano, il colonnello Kappler; e i magistrati militari sono andati a cercare i faldoni per vedere il processo e estendere l’imputazione da Kappler al suo sottoposto Priebke; e cerca e ricerca è venuto fuori questo armadio e da lì è ripartita l’indagine.

Nel frattempo i rapporti diplomatici erano tutti normalizzati, l’Italia era cresciuta, il tempo era maturo per poter riparlare di queste stragi.

E perché sono intervenute le procure militari? Perché il reato, e questo ce lo spiegherà bene il dottor De Paolis, il crimine di omicidio commesso dal soldato straniero nei confronti di civili italiani non si estingue mai, è imprescrivibile.

Marco, dicci qualcosa tu di questo contesto…

[Marco De Paolis]

[…]

Nella Germania del 1950 nessuno conosceva Auschwitz perché non erano note, erano cose straordinarie, noi a casa nostra non conoscevamo, e non conosciamo oggi, anche a Torino, se uno prende un ragazzo di 20 anni e gli chiede se conosce la strage di Cumiana, sta’ sicuro che nessuno sa che qua sono state uccide 51 persone, così come anche cose ancora più importanti. E quindi questo è il motivo per il quale noi siamo qua, e io ho scritto questo libro e ho fatto tante altre cose divulgative successive all’impegno giudiziario.

[…]

Allora ci sono due aspetti diversi, c’è il profilo dell’esecuzione dell’ordine e poi c’è il problema della cosiddetta rappresaglia, sono due cose distinte.

Il problema dell’ordine. Nel diritto penale italiano, nel diritto penale tedesco, nel diritto internazionale vigente ora e vigente anche allora, in particolare per noi l’articolo 40 del codice penale militare di pace, che oggi non c’è più ma ce ne è un altro, l’articolo 47 del codice penale di guerra tedesco vigente nella Seconda Guerra Mondiale, che era del ’40 e secondo le disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1929, allora vigente oggi le hanno sostituite ma il concetto è sempre lo stesso, allorché vi sia emanato un ordine manifestamente criminoso, il militare subordinato ha l’obbligo di non eseguirlo, altrimenti risponde del reato insieme al suo superiore. Questo è un principio di civiltà giuridica che era già presente nell’ordinamento internazionale e negli ordinamenti nazionali, anche nel codice di guerra tedesco.

Ora, il problema quale era, era che i nazisti sovvertivano le regole, quindi se noi prendiamo un esempio, l’ordine di battaglia del 1° gennaio del 1942 di Keitel, che fu in capo delle forze armate tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale, vediamo che in quell’ordine viene impartita una direttiva che è palesemente contrastante con il diritto tedesco, in cui si dice che per contrastare la peste, lui la chiama la peste, delle partigiane in Europa, [la Wehrmacht] era autorizzata, anzi obbligata a usare, testuali parole, ogni mezzo se questo può condurre al successo, senza aver riguardo nei confronti di nessuno, fossero anche donne e bambini. La cosa importante è il successo, a qualsiasi costo.

Questo è un sovvertimento dell’ordine legale, perché questo era un ordine di un’autorità amministrativa, perché il comandante delle forze armate è un funzionario amministrativo, così come io che sono un magistrato sono un funzionario amministrativo dell’apparato statale, ma né io, né lui, né il comandante delle forze armate ha il potere di sovvertire la legge, ma i nazisti si erano arrogati questo potere, ed è sostanzialmente quello che poi in filosofia gli studiosi hanno chiamato lo stato di eccezione, il sovvertimento dell’ordine legale per far diventare legale ciò che è illegale e viceversa.

E quali sono gli ordini che contrastano palesemente, manifestamente con il diritto? Per esempio, uccidere donne e bambini, persone inoffensive, persone che non sono atte a offendere, che non costituiscono un pericolo per il soldato, per il militare. Uccidere un prigioniero di guerra. Come è stato possibile che centinaia di soldati tedeschi non nazisti a Cefalonia abbiano ucciso migliaia di prigionieri di guerra italiani? Sono assassinii, può darsi che qualcuno abbia perso il senno, [ma] c’era stato alla base un inganno istituzionale, c’era stata una mistificazione da parte dei tedeschi che avevano preteso di qualificare i nostri soldati come dei traditori e quindi dei traditori si può fare quello che si vuole anche uccidere sul campo. Peccato che i nostri soldati non avevano giurato obbedienza e fedeltà al Führer ma al re e la bandiera italiana e quindi non avrebbero potuto consegnare le armi ai tedeschi o andare a combattere per i tedeschi come gli era stato intimato.

Questi sono esempi di sovvertimento, di mistificazione della realtà dell’ordine legale.

E vediamo invece il caso delle forze armate italiane. E lì anche quello è un altro caso di mistificazione, qualcosa in cui i nazisti erano maestri. Il diritto pone molta attenzione alle parole, le parole hanno significati precisi.

Ecco che noi siamo in guerra, c’è uno stato invasore e c’è uno stato invaso. L’Italia è stata invasa dai tedeschi, nessuno ha invitato i tedeschi in Italia. I tedeschi che erano a Cumiana non sono stati invitati dal sindaco di Cumiana, non erano stati invitati da nessuno, erano abusivi, occupanti, invasori. Se vogliamo come in questo momento in altri luoghi del mondo ci sono eserciti che calpestano territorio altrui.

Sottolineo che anche i nostri militari avevano fatto la stessa cosa perché nel famoso Donbass, citavo a pranzo il mio maestro elementare che aveva raccontato 200 volte la sua ritirata del Don, ma lui faceva parte di un esercito che non era stato invitato dagli ucraini, non era stato invitato dai russi, così come non eravamo stati invitati dai greci, dai jugoslavi, dai montenegrini, dagli albanesi, dai francesi. Ho detto stato di guerra, quindi i cittadini che si oppongono con le armi a chi invade il proprio territorio si chiamano patrioti o partigiani, queste sono le dizioni esatte.

Peccato che invece da l’altra parte vengono qualificati come terroristi. La parola terrorista evoca qualcosa di sbagliato, se io dico anche a un bambino, a un ragazzo cos’è un terrorista dice sicuramente è un criminale. Vedete le parole che pesano…

L’altro aspetto sbagliato, che capovolge completamente, sovverte l’ordine, è quello di appellarsi a un diritto a fronte dell’azione del terrorista. Il terrorista commette un crimine ed io ho un diritto, e questo diritto è il diritto rappresaglia. Ma in quel caso, come in tutti gli altri casi in cui i tedeschi, i nazisti hanno replicato alle azioni patriottiche dei nostri padri, dei nostri nonni che cercavano di liberare le proprie case, hanno replicato in modo criminale, cioè abusando di un istituto del diritto internazionale il diritto di rappresaglia, che non rientra in questa situazione, perché il diritto di rappresaglia è un diritto che regola rapporti passati e nulla a che fare con le situazioni nelle quali viene invocato.

Infatti, nel famoso processo Kappler, per la stagione delle Fosse Ardeatine, in questo equivoco cade il Tribunale Militare di primo grado, laddove assolve Kappler per la fucilazione di 335 ostaggi fucilati, di 320 scusate, e lo condanna all’ergastolo soltanto per 15 fucilazioni, ritenendo che per queste 15 non avesse il dovere di farli fucilare. Nella sentenza però successiva del Tribunale Supremo Militare, che nel 1953 si occupa del caso Kappler, questa sentenza viene corretta, cioè nella sentenza del Tribunale Supremo Militare vengono chiariti due concetti fondamentali, che sono quelli che ho detto prima, cioè che l’azione di Via Rasella era un’azione di guerra, che non era un atto terroristico, era un’azione legittima di guerra, così la definisce il Tribunale Supremo Militare e così, quattro anni dopo, nel 1956, la definisce anche la Corte di Cassazione a Sezione Unita, nell’ambito di una causa civile che era stata intentata da alcuni parenti delle vittime di Via Rasella.

E il secondo aspetto, l’azione di guerra, non sussiste nei visivi della rappresaglia, perché non c’è rappresaglia, cioè è una situazione in cui non si applica questo delitto, solo che purtroppo, siccome l’esito della sentenza del primo grado era di condanna all’ergastolo per i 15, il dispositivo della sentenza del Tribunale Supremo Militare è identico, cioè viene condannata sempre all’ergastolo, non è che si può condannare 200 volte all’ergastolo, quindi nessuno conosce la motivazione del Tribunale Supremo Militare ed è rimasto però nell’immaginario collettivo, nella vulgata, questo fatto che Kappler sia stato condannato perché si è sbagliato nel conto e quindi se si rifugiava nei 300 era legittimo, era giusto, che è una cosa raccapricciante.

[domanda dal pubblico: Lo stesso è successo per Priebke?]

Per Priebke anche lì la situazione è piuttosto complessa, perché era un collaboratore di Kappler, quando ci fu il processo Kappler vennero imputati sia Kappler sia i suoi più stretti collaboratori fra cui c’era anche questo capitano, il quale nel frattempo era scappato e si era rifugiato in Argentina, come buona parte dei nazisti che avevano tentato di sfuggire alla giustizia.

Priebke e gli altri cinque ufficiali e sottufficiali che erano stati indagati dalla Procura Militare di Roma nel 1945 e nel 1946, era destinatario come Kapler di un mandato di cattura, solo che nessuno lo aveva trovato, non so se si possa dire se nessuno l’aveva cercato, comunque sicuramente nessuno lo aveva trovato e come spesso succede i giornalisti sono più bravi di noi e quindi viene trovato da un giornalista. Così come 40 anni dopo Udo Gumpel trova e intervista sei ex appartenenti alla 16ª divisione Reichsführer SS, quella che aveva massacrato migliaia di persone in Italia, fra cui i due casi più importanti Marzabotto Montesole e Sant’Anna di Stazzema.

Quindi Priebke vive tranquillo fino al 1992 quando commette l’errore di rilasciare un’intervista. Questa intervista viene vista in Italia e quindi riattiva la macchina militare, perché ci si ricorda che questo signore è un latitante [e che i] crimini imprescrittibili. Quindi si riattiva la macchina giudiziaria e Priebke viene faticosamente estradato e ancora più faticosamente processato e condannato, ma viene condannato.

Priebke aveva eseguito un’ordine, ma l’aveva eseguito anche Kappler, così come tutti quelli che avevano collaborato in quell’operazione. Attenzione, con una differenza, perché nel processo delle Forze Ardeatine alcuni vengono assolti nel 1948, giustamente per il diritto, perché si tratta di soldati o graduati che avevano fatto parte del plotone di esecuzione, ma a quel livello, si tratta di una sottile differenza, non è molto semplice. Abbiamo varie tipologie di stragi e di eccidi

Ci sono degli eccidi come quelli delle Forze Ardeatine in cui c’è una decisione formale con una sentenza del Tribunale di Guerra tedesco, del Comando tedesco, insomma un atto formale di condanna a morte di ostaggi. E poi ci sono delle situazioni invece come quella di Sant’Anna di Stazzema, di Marzabotto e di Civitella, in cui dei paesi vengono completamente devastati, vengono uccisi indiscriminatamente donne e bambini senza nessuna pietà, vengono devastati i villaggi, vengono uccisi anche gli animali. Pensate che a Marzabotto sono state date alle fiamme più di cento fattorie, sono stati uccisi migliaia di capi di bestiame, siamo in una zona rurale, sapete benissimo negli anni Quaranta cosa poteva essere per un paese di colpo perdere tutto il bestiame e tutte le riserve agricole.

Quindi sono due cose diverse, perché chi partecipa alla seconda operazione sa, si rende benissimo conto che sparare a un bambino è una cosa che non si deve fare. Nel primo caso, invece, quando si ha una formale sentenza di condanna, un provvedimento che viene dall’alto della propria gerarchia, non si è sicuri che sia la possibilità di capire se quell’ordine sia illegittimo o meno o manifestamente criminoso, perché c’è comunque un’apparenza di legalità. Quindi il soldato, quello che è alla base della gerarchia, può non rendersi conto. Il superiore sì, è per questo che viene condannato, non so se vi sono spiegato, quindi c’è una differenza e questo è molto importante.

[…]

Quando poi arrivo a dirigere la Procura Militare di Roma, mi accorgo che questo problema dell’imprescrittibilità viene applicato.., non viene applicato.., sembra un principio un po’ elastico, perché trovo parecchie stragi, soprattutto quelle avvenute all’estero nei confronti dei nostri militari, che sono state archiviate per prescrizione e mi accorgo anche che dei 202 fascicoli che erano arrivati alla Procura Militare di Roma, 176 erano stati archiviati senza dare neanche la delega d’indagine ai carabinieri. C’è qualche problema, no?

[Alberto Custodero]

Come mai hanno chiuso la Procura di La Spezia?…

[Marco De Paolis]

Questa è una cosa che si può descrivere nella sua materialità e poi ognuno può scegliere la sua interpretazione.

Allora, sostanzialmente avviene questo: a partire dal 2007 c’è una campagna di stampa, trasversale, di vari giornali, non è un solo giornale, c’è il Corriere della Sera, c’è La Repubblica, c’è la Gabanelli con Report, con cui si pone l’accento sul fatto che i tribunali militari producono poco.

Tutto questo è oggettivamente vero, nel senso che c’era stato nel 2004 un passaggio dalla leva all’esercito professionale e quindi i numeri dei processi, i numeri giudiziari dei tribunali militari erano abbattuti. E quindi diciamo, adesso io non voglio infierire sulla stampa perché ho già… Allora, io ho sempre riconosciuto, l’ho detto, l’ho scritto anche nei miei libri, io lo dico sempre perché il più grande aiuto io l’ho avuto dalla stampa d’inchiesta, dai giornalisti d’inchiesta, infatti la prima persona informata sui fatti, il primo testimone che mi aveva interrogato è stato un giornalista, per cui so di essere in un senso di potermi permettere di dire bene e anche di dire le cose che ho detto. Però questa campagna di stampa era un po’ per alcuni versi scandalistica perché in realtà non si considerava soltanto un aspetto di questa vicenda, non si poneva il problema del fatto che c’era una sotto occupazione di questa magistratura e soprattutto c’era una irragionevolezza della giurisdizione di questa magistratura che era stata privata nel corso del tempo di tutta una serie di competenze e in maniera quindi assurda, irragionevole, noi non potevamo occuparci e non possiamo occuparci tuttora delle cose per le quali siamo nati, cioè non siamo nati per occuparci dei militari e dei reati militari… Allora, non voglio uscire dal seminato, però per capire, ci sono tutta una serie di reati militari di cui ci dovremmo occupare e invece non ci possiamo occupare, per esempio noi ci possiamo occupare dell’omicidio fra militari solo se è doloso, un omicidio colposo no, delle lesioni personali se sono dolose sì, se sono colpose no, non ha molto senso. Quindi basterebbe semplicemente, visto che la Costituzione prevede queste istituzioni, eliminiamo le irragionevolezze e facciamoli lavorare piuttosto che guardare che questi producono poco. E sull’onda di questa apparente distonia vi era stata questa riforma che aveva abolito 6 tribunali militari su 9, quindi 6 procura militari e 6 tribunali, tra cui anche quello di La Spezia.

Ora, in quel momento la cosa diciamo che era veramente distonica, strana, è che l’unica procura, l’unica in tutta Italia, che produceva tantissimo, che faceva delle inchieste enormi, nella mia, avete visto la clip, io dirigevo la procura militare di La Spezia, eravamo 2 magistrati, non 20, 2. Avevamo nel mio armadio, quando sono arrivato il 22 aprile del 2002, ho trovato un centinaio di procedimenti per strage, non per furto di polli, per strage. Evidentemente più che sopprimermi, la cosa più logica sarebbe stata, mandiamo uno squadrone di 10 pubblici ministeri per fare quello che si deve fare subito, perché io ho impiegato 5 anni per fare 14 processi come avete detto, ma se il ministero avesse avuto 10-15 sostituti li avremmo fatti in 2 anni, ovviamente, e ci sarebbero state molto più condanne, perché non sarebbero morti quelli che poi sono morti, ecco, per questo dico, se le cose devono essere fatte secondo logica, si fanno in un modo, se si fanno senza logica, allora io non mi aspetto l’illogicità, mi aspetto la logicità, questo è il senso.

[Alberto Custodero]

Passiamo a un altro argomento perché a dire il vero io ho scritto fiumi di inchiostro su questo argomento, e mi ricordo anche che la vostra associazione che si chiamava Consiglio di Magistratura Militare è intervenuto tantissimo, comunque è una polemica esattamente come l’ha riferita il dottor De Paolis, effettivamente è stata una campagna di stampa, confermo.

Invece adesso vorrei parlare di un altro argomento che mi sta molto a cuore, perché è molto attuale, la mistificazione. Ora è in corso, non lo so se forse perché adesso c’è al governo un certo colore politico, non lo so, ma forse perché sono passati 80 anni, ci sono delle nuove generazioni, mentre io per esempio ho 63 anni, ho un papà di 101 che è stato repubblichino, quindi avevo avuto i contatti con quella realtà, oggi i giovani sono scollegati, insomma c’è un procedimento di mistificazione che nelle scuole oggi si dica che le strage sì però sono state fatte per colpa dei partigiani, perché se i partigiani non fossero, se non avessero fatto le loro azioni di terrorismo, come venivano chiamate dagli occupanti e dai fascisti, non ci sarebbero state le rappresaglie.

Questo è successo molto recentemente in una scuola del Cuneese, dove un ragazzino è arrivato a casa dicendo alla mamma ah sai che a Boves è stata colpa dei partigiani, perché i partigiani…. Allora la mamma era preoccupata, e sapendo che io ero un po’ preparato, non come il dottore De Paolis un po’ meno, mi ha chiesto ma cosa gli devo dire a mio figlio. E io gli ho detto: guarda che effettivamente il movimento partigiano era proprio quello, cioè di disturbare dietro le retrovie delle forze degli occupanti, di disturbare, fare attentati, e perché se le sono prese tutti in quelle zone che citava prima il dottor De Paolis, perché lì c’era la linea gotica, e arrivavano i rifornimenti di armi, cibo e munizioni, e i partigiani facevano saltare i ponti dei treni, delle strade, eccetera, quindi facevano incavolare i tedeschi in maniera pazzesca, tanto che gli hanno scatenato queste rappresaglie così violente, così crudeli, così spietate, così disumane.

La resistenza è stata proprio questo, qualunque resistenza si comporta in quel modo. A Cumiana è successo proprio esattamente questo, come voi sapete, c’è stata un’azione partigiana con l’uccisione di tedeschi, Marco Comello è il maestro assoluto di questa vicenda, cattura di tedeschi, io ho avuto ancora l’onore e la fortuna di intervistare il comandante Nicoletta, che è stato il partigiano che comandava la divisione Sergio De Vitis di Giaveno, e che aveva proprio condotto sia l’operazione di battaglia, che poi la trattativa che si è conclusa tragicamente con l’uccisione di 51 civili. Questa cosa è, dottor De Paolis, una mistificazione?

[Marco De Paolis]

Sì, è una mistificazione perché è molto più semplice attribuire una responsabilità a fronte di una regola che non è una regola, piuttosto che andare a pensare se quella regola sia tale o meno.

Il problema è che siamo in una guerra e quindi l’aggredito, il paese invaso ha tutto il diritto di difendersi. Se l’invasore si inventa una pseudo regola per impedire all’aggredito di difendersi, si tratta… in diritto la chiamiamo un’estorsione, di fatto è una sostanziale forma di estorsione. E’ come quando i turchi, lo facevano anche i cristiani, mettevano sulle mura della città gli ostaggi, perché se vi avvicinate uccidiamo gli ostaggi, questa è un’estorsione.

Quindi è sbagliato il principio e chiaramente è naturale e comprensibile che la comunità dove si verifica l’eccidio e la strage se la prenda con il patriota che in qualche modo ha provocato l’invasore, in quel caso l’invasore criminale perché è sbagliata quella regola che non è una regola. Per sorpresa è molto illuminante un film inglese di 20 anni fa, di Ken Loach [Il vento che accarezza l’erba, 2006], che è sulla guerra di indipendenza irlandese, quindi siamo negli anni 20, quindi siamo 20 anni prima della seconda guerra mondiale. E’ questo film che si apre con un rastrellamento violento, ci sono degli soldati inglesi che entrano violentemente nelle fattorie, prendono dei ragazzi, li mettono al muro, sembra che stia per succedere, ma non succede assolutamente nulla, stanno semplicemente facendo un rastrellamento.

Poi a un certo punto nel film c’è un’altra scena che è la fotocopia identica del fatto di Civitella. Civitella Val di Chiana, il 29 giugno 1944, vengono trucidate circa 200 persone, a Civitella e nelle frazioni di Cornia e San Pancrazio. Perché? Perché il 18 giugno, praticamente una decina di giorni prima, una piccola formazione patriottica locale, agli ordini di un ragazzo di 19 anni che si chiamava Edoardo Succhielli, detto Renzino, cosa fa? Arriva in paese, c’è un’osteria, ci sono dei soldati tedeschi che stanno bevendo in quest’osteria, loro entrano, li aggrediscono per prendergli le armi e ne uccidono tre, uno riesce a scappare ferito e torna; e si determina questa feroce strage dove apparentemente per tre soldati tedeschi uccisi vengono uccisi 200 civili.

Ma in realtà si tratta di un’operazione antipartigiana, che sostanzialmente mirava a estirpare le formazioni locali e a punire i paesi che in qualche modo sostenevano questo. Nel film c’è una scena identica, ci sono questi patrioti irlandesi che vedono nel pub dei soldati inglesi che bevono la birra, entrano dentro, li ammazzano e gli prendono le armi. Ma questo perché? Perché normalmente i patrioti, le formazioni partigiane, non è che hanno gli arsenali, non hanno le fabbriche che gli danno le armi, quindi i casi sono due, o gli arriva il rifornimento dall’alto, come succedeva il lancio, oppure dovevi necessariamente procurarti le armi. Come le procuri? Le procuri aggredendo il nemico e togliendo al nemico le sue armi.

La guerra è questo, non è che la guerra si fa con la cortesia o con la buona educazione. Ma la differenza tra quella storia narrata nel film e la realtà è che in quel villaggio irlandese non succede assolutamente nulla.

Cioè nessuno viene ucciso, è un film, nella storia dell’indipendenza irlandese non esistono le stragi di Civitella Val di Chiana, di Marzabotto, di Sant’Anna, eccetera. Quindi c’è un modo diverso di comportarsi. Gli inglesi evidentemente non erano come i nazisti.

Quindi ai ragazzi va spiegato questo, che al monte di questa vicenda c’è una cosa sbagliata che è l’invasione abusiva illegale di un altro paese. Poi c’è il diritto sacrosanto dell’aggredito di difendersi e di liberare casa propria e il terzo è di essere coraggiosi. Nel libro per i bambini che ho scritto prima di questo libro […] io dico, incito, suggerisco ai bambini e ai ragazzi di usare tre cose che sono la testa, il cuore e il fegato. La testa per conoscere, per studiare, per capire le cose che accadono nel mondo e non dipendere intellettualmente da chi ne sa di più. Il cuore perché naturalmente anche i criminali più grandi sono dei geni quindi bisogna che il proprio genio, le proprie conoscenze siano orientate con il cuore verso i valori sui quali crediamo.

E poi c’è il fegato perché come sapete gli antichi che tenevano che il fegato fosse la sede del coraggio, bisogna avere anche il coraggio. Nella vita intanto capita che si debba tirare fuori anche quello. E quindi per rispondere sempre al bambino guarda che quando sarai grande poi queste cose le dovrai usare e forse purtroppo per te le dovrai usare anche il fegato.

[Alberto Custodero]

Infatti il movimento partigiano, soprattutto all’inizio, è stato un movimento spontaneo che si è costituito con gli sbandati che sono ritornati dal fronte dopo l’armistizio e in molti casi per procurarsi le armi andavano ad assaltare le stazioni di carabinieri che avevano dei depositi di armi e c’è stato anche uno storico assalto al dinamitificio di Avigliana durante il quale i partigiani si sono procurati gli esplosivi, della dinamite. Poi però la resistenza si è organizzata non solo sul territorio italiano con il Comitato di Liberazione Nazionale ma anche con gli alleati, in particolare con gli inglesi, allora le armi arrivavano anche con i famosi lanci. Perché dico questo? Perché lo volevo anche dire al procuratore che non è del posto. Quindi i lanci li facevano nei campi verso Piscina e quando attraversò Radio Londra avevano dei codici che dicevano con delle parole criptate che stava arrivando il lancio, l’aereo che poi scaricava con il paracadute le casse e i partigiani si mettevano sulle pianure e di Piscina di Airasca quando come sentivano il rombo del motore all’ultimo momento accendevano dei fuochi per fargli vedere dove erano quelli scaricavano coi paracadute e arrivavano le armi, le radio insomma tutta una serie di materiali che gli anglo-americani, in particolare gli inglesi mandavano ai partigiani per aiutarli a fare questa resistenza e dico questo perché durante uno di questi lanci un aereo inglese si è schiantato proprio sulle montagne di Cumiana abbiamo un bellissimo monumento a forma di ala sul Freidur con i nomi non di resistenti, di partigiani come invece ci sono una serie di lapidi, di cippi mortuari qui a ricordare anche ragazzi di 17 anni impiccati dai nazi fascisti, abbiamo avuto Lupo, il comandante partigiano Gianni Daviero che è stato catturato grazie alle spie fasciste che si nascondeva qui nelle cascine di Cumiana ebbene lì abbiamo una lapide di soldati inglesi. Questo a rispondere a quelli che vogliono far passare la resistenza come un movimento spontaneo di quattro sbandati in realtà era un movimento molto ben organizzato e soprattutto nella parte finale anche in collaborazione con l’intelligence inglese vi ricordo che uno dei più famosi partigiani, diventato anche famoso dopo la guerra Edgardo Sogno, partigiano bianco, era considerato a tutti gli effetti un uomo dell’intelligence inglese a dimostrazione di quanto la resistenza non fosse soltanto un movimento composto dagli sbandati rientrati dai fronti di guerra dopo l’8 settembre oppure rimpolpato dopo il bando Graziani voi sapete che nel dicembre del 43 Graziani, quel signore che in Libia è stato responsabile di qualche decina di migliaia di morti e forse anche di più, ha fatto un bando che obbligava le classi diciottenni, diciannovenni e ventenni ad arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana pena la cattura dei genitori. Graziani dopo la guerra poi è diventato Presidente di un partito, il Movimento Sociale Italiano, l’MSI… lo dico perché l’ho letto recentemente in un libro di Gianni Oliva.

Allora, veniamo al titolo del libro del procuratore: L’uomo che dava la caccia ai nazisti. I primi che hanno dato la caccia ai nazisti sono stati quelli della Brigata Ebraica che è stata costituita nel settembre del ’44 su ordine di Churchill. Quelli davano la caccia e uccidevano. Poi c’è stato Wiesenthal che ha scoperto circa mille tedeschi nazisti che si sono rifugiati in Argentina, in Sud America grazie a un’organizzazione che si chiamava Odessa che aveva aiutato i nazisti a scappare, a sottrarsi alla giustizia. E poi c’è lo Stato d’Israele che negli anni ’60 ha catturato sempre casualmente in Argentina Eichmann che era il ragioniere della Shoah. Ecco, tu che cacciatore sei?

[Marco De Paolis]

Parliamo un pochino dei contenuti, perché il titolo, come sa benissimo un giornalista, è stato un ordine superiore perché in realtà non c’è una caccia. In realtà il libro racconta… i libri, perché sostanzialmente i racconti sono uguali, è poi per come è raccontata la storia che diventano diversi; i libri raccontano un’esperienza, una lunga storia durata 16 anni di lavoro giudiziario che inizia il 22 aprile del 2002 a La Spezia e termina il 22 giugno del 2018 a Roma. 16 anni dedicati interamente alla ricerca della verità e al tentativo di fare non dico giustizia, perché sarebbe presuntuoso dirlo, ma lenire in qualche modo una parte delle grandi ferite che decine di migliaia di famiglie italiane avevano e che per tanti anni nessuno aveva considerato. Io ho sempre pensato prima di fare questa esperienza che i magistrati dovessero in qualche modo essere discreti, non avere grandi visibilità e i libri o le pubblicazioni dovessero essere di carattere scientifico. Dopo questa esperienza ho dovuto necessariamente cambiare un po’ opinione perché la straordinarietà, la eccezionalità di quella che è stata la mia esperienza mi ha indotto a doverla raccontare, a doverla mettere a disposizione della comunità, della collettività soprattutto dei giovani perché è un’esperienza che è straordinaria sotto tanti profili, in cui alla fine quello professionale che pure è importante è quasi secondaria perché in realtà l’esperienza personale diventa veramente prevalente.

[…]

Nella prima missione in Germania.., ne farò tantissime, saranno oltre un migliaio di rogatorie internazionali che io farò. Detto così sembra una banalità, ma nella vita di un magistrato, nella quasi totalità dei casi, non se ne fa neanche una, è raro farne e non credo che esista neanche un magistrato ordinario che ne abbia fatti così tante. Allora vado, devo andare in Germania, devo interrogare tre SS. Tre criminali, tre persone accusate di omicidio, ma non un omicidio… Intanto un omicidio è già un fatto importante, io non avevo mai visto, non avevo mai avuto a che fare con un omicida, non ne avevo mai visto il faccia uno. Parto quindi con il massimo dell’immaginabile, cioè dell’omicida che addirittura è accusato di aver ucciso centinaia di bambini. Quindi che cosa mi aspetto ma a questo? Poi c’è anche un altro aspetto: qui non si tratta di cose normali, io mi accingo in quel momento a dirigere la mia attività professionale verso delle cose che avevo studiato sui libri di scuola, su cose che avevo visto al cinema, su persone di cui avevo sentito parlare in famiglia perché mio padre aveva fatto la guerra, anzi come diceva lui le guerre perché aveva combattuto la prima con i tedeschi la seconda con la liberazione contro i tedeschi; erano cose che per me che pure avevo una certa età, non ero più giovane, erano cose sicuramente molto molto rilevanti.

Dalla parte opposta c’era un’altra esperienza che cominciavo a fare, anche quella incredibilmente eccezionale. La storia di Carlo Comellini, il primo teste che interrogo sulla strage di Marzabotto, è una storia incredibile. Carlo Comellini aveva 16 anni il 29 settembre del ’44, lui era a Casaglia poiché c’era pericolo per il fatto che i tedeschi facevano i rastrellamenti quindi lui e il padre dormivano in un fienile e la mamma con le bambine erano a casa. La mattina del 29 settembre una squadra arriva a Casaglia e nel frattempo siccome erano già cominciate, si vedevano le distruzioni, gli incendi nelle altre case, le donne e i bambini di Casaglia si rifugiano nella chiesa. Sono circa 180 donne e bambini. I tedeschi arrivano nella chiesa di Casaglia, uccidono don Marchioni che era il parroco, lo uccidono sull’altare, uccidono una donna paralitica che non può camminare, quindi siccome non può camminare la uccidono sul posto, prendono tutte queste altre 180 donne e bambini e le trascinano nel camposanto accanto alla chiesa, a 100 metri della chiesa di Casaglia. Carlo Comellini sale su un albero e da lì vede questa scena: si tratta di un camposanto di campagna, ci sono i muretti di pietra a secco, sono alti poco più di 2 metri quindi lui si arrampica su un albero fuori del camposanto e da lì vede una scena terrificante, le persone vengono messe dentro a questo camposanto che è un po’ più grande di questa stanza e vengono falciate con le MG, con le mitragliatrici. E’ una scena tremenda, terrificante, che viene descritta da lui come da altri 4 o 5 bambini che si salvano da questa carneficine. Se voi andate a visitare il camposanto di Casaglia, vedete che ci sono ancora 6 o 7 croci di ferro nel terreno che hanno i fori delle pallottole a questa altezza…

Tra l’altro ho omesso un particolare: quando sono andato a interrogare Carlo Comellini nella stazione dei carabinieri, non avevo avuto il tempo di studiarmi prima la storia di questo signore, quindi sapevo di andare a trovare, a interrogare un teste diretto ma non sapevo altro, c’erano migliaia di cose da fare… Quando entro nella stazione dei carabinieri trovo nell’atrio delle persone sedute e non ci faccio caso, in una panca c’era un tronco di uomo, una persona senza le gambe ma non ci faccio troppo caso. Quando chiamiamo Carlo Comellini, entra questa persona con le stampelle…

Torniamo al 29 settembre: il 29 settembre dall’alto dell’albero Carlo Comellini vede questa scena terrificante, vede materialmente sua mamma e le sue sorelle falciate, spezzate in quella che è un’orgia di sangue. Potete immaginare, 160 persone che vengono falciate dalle mitragliatrici, è una scena raccapricciante. Lui poi infatti portava a collo un ciondolo che era un bossolo: era andato nel giorno successivo aveva estratto dal muro di pietra che era cosparso di tutti questi fori e aveva preso una pallottola che portava con sé sempre appesa al collo.

Pochi giorni dopo questa terribile giornata Carlo salta su una mina antiuomo, perché i tedeschi avevano minato quasi tutte le località dove avevano compiuto queste stragi, avvenute nella valle del Setta… c’erano due torrenti, il Setta e il Reno, erano circa una ventina di località, di piccoli villaggi nei comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno… per evitare che le persone andassero a curiosare, dove c’erano state queste stragi avevano posizionato molte mine antiuomo. Pensate che addirittura durante il processo che ho celebrato nel 2006 a La Spezia, il sindaco di Monzuno ci disse che ancora in quegli anni, cioè nel 2006, sul monte Sole e sul monte Caprara vi erano delle zone non sicure, quindi con i cartelli attenzione, mine. Nel 2006, in Italia, non in Siria, non in Afghanistan.

Allora, ecco, i contatti da una parte e dall’altra, da una parte all’estero a sentire queste persone,  dall’altra a sentire le vittime, ripetendo per 16 anni 100, 200 300, 500 volte questi racconti, perché abbiamo avuto in Italia in quel periodo oltre 25.000 vittime civili e circa 70.000 vittime militari.

Tutta questa enorme gigantesca attività che ho svolto prendeva origine da due anomalie molto gravi: la prima del 1960, cioè il fatto che questi fascicoli erano stati illegalmente occultati impedendo quindi il corso della giustizia, e poi anche dopo la scoperta di questo armadio della vergogna, nel ’94, quando nel 2002, cioè quando otto anni dopo prendo le funzioni a La Spezia.

Le prendo in un contesto nel quale tutti dicevano che queste cose ormai erano consegnate alla storia, e non c’era più la possibilità di trovare in vita nessuno. Anzi c’era qualcuno.., ne ho scritto, il mio predecessore a Roma che pure aveva fatto il processo a Priebke, che ammoniva che il giudice non deve fare lo storico e deve stare nei limiti delle sue funzioni. Detto così è giusto, peccato però che tra il 2002 e il 2013 in quei dieci anni io abbia ottenuto 57 condanne all’ergastolo in primo grado, ci sono stati 17 processi e se non avessi avuto la testardaggine e la forza, la tenacia di pensarla diversamente non avrei evidentemente fatto nulla.

Quindi c’era tutto questo, dovevo mettere assieme tutte queste cose..: dieci anni che sono stati un enorme, un gigantesco coacervo di sensazioni di emozioni, di azioni contrastavano l’una con l’altra perché nel momento in cui interrogavo Carlo Comellini, i cento o duecento Carlo Comellini, andavo a interrogare quelli che qualcuno diceva che dovevano essere morti perché avevano 80 anni, perché così è la vita mediamente le persone muoiono a 75-80 anni […]

Tra l’altro poi per una singolarità della vita io avevo preso le funzioni in un momento in cui nell’arco di una settimana erano accadute tre cose straordinarie. Io inizio il 22 aprile del 2002: il 17 aprile del 2002, cinque giorni prima, l’allora Presidente della Repubblica Federale di Germania Johannes Rau, accompagnato dal nostro Presidente Carlo Adelio Ciampi, sale sulla collina di Montecitorio per compiere un atto storico, cioè il primo Presidente della Repubblica tedesca che viene in Italia a onorare i nostri morti e a chiedere scusa e perdono all’Italia e agli italiani delle atrocità commesse durante l’occupazione tedesca dell’Italia. In previsione di questo evento storico la televisione tedesca, l’ADR, manda in onda un servizio nella rubrica Contraste che viene poi il giorno dopo, l’11 aprile 2002, vedete, viene mandato in onda su RAI 3. Di che cosa si tratta? Ecco qui il giornalista d’inchiesta bravo che supera l’investigatore. Si tratta dell’intervista a 6 ufficiali e sottoufficiali della 16ª Divisione Reichsführer SS, quella di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, di Casalecchio, di San Terenzo… E non sono fantasmi, non sono attori, sono persone vive e vegete.

Naturalmente diventeranno tutti i miei imputati, ma i loro nomi erano già noti da anni, tra il 1994, cioè fra il rinvenimento, chiamiamolo così, dei fascicoli nell’armadio della vergogna e il 2002 erano passati 8 anni, 8 anni in cui a fronte di centinaia di fascicoli ci sono stati soltanto 4 processi in tutta Italia.

Insomma.., diciamo che di aspetti ecco da approfondire ce ne erano veramente tanti

[Alberto Custodero]

A proposito di aspetti da approfondire, posto che il periodo ’43-’45 ha avuto anche un’altra pagina, cioè mentre fino a prima dell’occupazione tedesca gli ebrei erano discriminati dalle leggi razziali, e che nel ’43-’45 inizia anche in Italia la loro deportazione, col campo di concentramento di Verona, quello più famoso, ma poi ce ne sono stati anche altri; a Borgo di San Dalmazzo c’è stata anche lì una deportazione di una comunità di ebrei che stava scappando da tutte le parti e poi è stata catturata lì e naturalmente sempre con la complicità dei fascisti assolti grazie a Togliatti e alla sua amnistia. La mia domanda [è]: c’è ancora qualche argomento da approfondire, che ti piacerebbe approfondire?

[Marco De Paolis]

Dal punto di vista giudiziario adesso veramente stiamo fuori tempo massimo, non so se esiste qualcuno che può avere 105 anni… Però una cosa che si può fare, che possono fare gli storici è di occuparsi di quello che è avvenuto prima del 1943 cioè tra il 1940 e il 1943 perché [c’è] molta documentazione che riguarda i fatti che noi italiani abbiamo commesso soprattutto nei Balcani prima del 1943 e inspiegabilmente queste vicende sono state rubricate in un registro che si chiama Registro degli Atti Non Costituenti Notizia di Reato e non occorre essere dei giuristi o degli avvocati per capire di che cosa si tratta. Quindi credo che sarebbe opportuno che questa parte della storia contemporanea venisse una volta per tutte chiarita, perché come diceva San Paolo la verità vi renderà liberi.

[…]

(Trascritto da TurboScribe.ai e revisionato da anpivalpellice.it)