Cenni storici
“Nella nostra storia non ci sono scheletri nell’armadio, ci sono errori”, così diceva Giulio Giordano, che fu commissario politico delle formazioni Giustizia e Libertà della Val Pellice, a proposito della morte di due partigiani, Enrico Malan e Mauro Dassano. Perché la loro morte non fu provocata dal fuoco nemico, non fu una esecuzione di rappresaglia, né un incidente né una malattia contratta in servizio: fu frutto di una lite interna alla banda della Sea di Torre Pellice. “Il fatto della Vittoria”, così lo chiamano con pudore; Vittoria come il nome dell’osteria che si trovava proprio lì dove ci sono le lapidi dei due caduti: i proprietari l’avevano aperta nel 1918 ed avevano voluto dedicarla alla fine della Grande Guerra, una piola frequentata dai partigiani di Bobbio, di Villar e della Sea, ma anche un posto di blocco partigiano sulla strada per Villar appena fuori Torre Pellice.
Ma lasciamo che a raccontarci questa storia sia uno che ne fu testimone diretto, Franco Pasquet. Lo ha fatto davanti ai ragazzi dell'Istituo "Alberti" di Luserna San Giovanni nell'anno scolastico 1999-2000, la sua testimonianza è riportata nell'opuscolo 6A dei quaderni multimediali sulla Resistenza curati dagli insegnanti Luigi Bianchi e Marisa Falco.
Su alla Sea c’erano stati dei malumori… Dovessi dirvi l’esatto perché ci fossero malumori tra il comandante, che era Mario Rivoir, ed un certo Gigi… non so. Forse per idee politiche o per una diversa concezione di condurre la squadra…
Comunque, ad un certo punto, questo Gigi ha preso il comando di un gruppetto su della Sea con relative armi. Al che, noi che eravamo i più anziani del gruppo abbiamo detto: “Un momento! Le armi le abbiamo procurate quasi tutte noi che eravamo già qui. Le armi le lasciate qui e andate a procurarvene come ce le siamo procurate noi!” Niente da fare: non le hanno restituite.
Mario Rivoir, forse spinto da Dassano, che era giovane, del ’23, quindi aveva vent’anni, una testa calda… Forse spinto da lui, Rivoir dice: “Andiamo a riprenderci le armi, Gigi e gli altri sono giù alla Vittoria, andiamo a riprendercele.” E parte una squadra per il recupero.
Io sono rimasto alla Tarva, il nostro rifugio alla Sea; dopo pochi minuti arriva un gruppetto di uomini di Gigi, ci hanno messi al muro e hanno preso anche le poche armi che c’erano ancora, ci hanno lasciato solo quelle che avevamo addosso. Sono partito di corsa per raggiungere Mario Rivoir e gli altri per informarli che ci avevano preso il mitragliatore e tutte le armi che avevamo ancora alla Tarva.
Li ho raggiunti alla Servera, sopra i Coppieri; mi sono unito a loro e siamo scesi alla Vittoria.
Arrivati, Dassano ha incominciato a sparare per aria per intimorire quelli che erano lì, ha sparato in aria, di questo sono sicuro, perché l’ho visto, ha sparato in aria e poi sull’insegna… C’era una grossa insegna, “Trattoria della Vittoria”, ha forato l’insegna, aveva un mitra Beretta. Viene fuori Gigi, che aveva un Mauser e, senza dire né “ah!”, né “bah!” spara a Dassano.
Dassano è caduto. Ho avuto l’impressione che cadendo avesse ancora il dito sul grilletto, mentre è caduto ha colpito Malan. Gli ero vicino e ho pensato che fosse inciampato: l’ho tirato su ed ho visto che aveva due buchi… Uno qui… e uno qui…
Li hanno portati all’ospedale, Dassano è rimasto lì un bel po’ a lamentarsi, prima che lo portassero via. Malan è morto sul colpo.
Noi, ci hanno sbattuto contro il muro: “Fuciliamo tutti!” “Un momento!” E’ arrivato Mathieu Gay, il Dott. Gherardi, è venuto giù Prearo… Abbiamo spiegato le nostre ragioni e alla fine hanno detto che la cosa era risolta così, con due morti e basta.
Quando siamo andati all’ospedale per vedere come stava Dassano, ci hanno detto “E’ là!” “Ma là c’è la camera mortuaria!” “Sì, sì: è morto!”
E’ arrivato in ospedale e dopo poco è morto.»Donatella Gay Rochat, la principale studiosa della Resistenza in Val Pellice, scrive che «La sparatoria separò i due gruppi. Agosti, che proprio quel giorno si trovava a Torre (Roberto Malan, invece, era in val Germanasca) convocò subito un consiglio di guerra, cui parteciparono Prearo, Franco Momigliano e Mathieu Gay. Ma Mario Rivoir, vedendo in ogni caso compromesso il suo prestigio, preferì allontanarsi senza sottostare al consiglio di guerra, lasciando una lettera di dimissioni, e fuggire a Torino.