Il Pioniere, le due fasi: in clandestinità e dopo il 25 aprile 1945
di Jacopo Calzi e Andrea Geymet*

*Jacopo Calzi, laureato in scienze storiche presso l’Università di Torino, è autore di “Un Paese che valga la pena. «Il Pioniere» e la Resistenza nelle Valli valdesi e nel Pinerolese (1944-1945)”, 2024, Franco Angeli Editore.
Andrea Geymet, appassionato ricercatore di storia della resistenza nel Pinerolese, ha al suo attivo varie pubblicazione, l’ultima delle quali è “La locanda di Viola. Una storia partigiana”, 2024, Graphot, che ha scritto in collaborazione con Federico Jahier.

Testo della conferenza tenuta a Torre Pellice l’8 novembre 2025 nell’ambito della mostra “Noi scriviam la nuova storia”
(Trascritto da TurboScribe.ai revisionato da anpivalpellice.it)

Andrea Geymet

Controinformazione. Ce n’è stato bisogno, ce n’è bisogno, ce ne sarà sempre bisogno.

Finché c’è potere, e potere che schiaccia, bisogna controinformare. Quindi la storia che raccontiamo oggi è questa, di gente che in questa zona, quando il potere vietava altre versioni dell’esistente, ha scritto altre versioni dell’esistente. Il Pioniere.

Mentre ovunque, in ogni valle, nasceva e si produceva controinformazione, qui in particolare una persona, Gustavo Malan, che da quanto ha dichiarato in alcune occasioni fin da ragazzo non aspettava altro che fare qualcosa che fosse magari un giornale, quando gli fu proposto e ci si è buttato a capofitto. E grazie a questo immenso impegno che ci ha messo, lui sì, è stato partigiano, ma è stato un partigiano con la penna, ha scritto tutto il tempo con la macchina da scrivere, inizialmente ha prodotto un ciclostilato, poi si è rivolto a una tipografia che clandestinamente di notte stampava, e ha prodotto controcultura instancabilmente.

Prima e dopo è [la Liberazione] il titolo di questa conferenza: Il Pioniere ha un prima e un dopo. Chiaramente lo spartiacque tra questo prima e dopo, è il 25-27 aprile 1945, perché a differenza di altri giornali che col 25 Aprile hanno esaurito il loro compito perché finalmente si poteva fare informazione liberamente contro quella di regime, di potere, Il Pioniere non ha smesso. Allora abbiamo concordato di mettere in campo, questo prima e questo dopo, che cosa sono, che cosa delimitano e come sono stati, perché evidentemente quando si lavorava con gente che ti mitragliava se scrivevi, oppure dopo che non era più così, la situazione era diversa e quindi anche le cose che si scrivevano cominciavano ad essere diverse.

Jacopo Calzi

[…] Sì, c’è un prima e un dopo, e secondo me era particolarmente importante concentrarsi su questo prima e su questo dopo. Io con la tesi di dottorato volevo concentrarmi sul dopo perché ero curioso di sapere cosa succedeva dopo, però banalmente leggendo cosa è successo dopo si capivano molte cose di quello che era successo prima. Immaginate: in un periodo di clandestinità ovviamente non si possono fare nomi e cognomi, ma dopo i nomi e i cognomi si possono fare.

Quindi alcune situazioni diventano più chiare alla luce della ritrovata libertà.

C’è appunto un fatto politico importante, secondo me, cioè un giornale che è nato in clandestinità si trova ad essere attivo in un contesto di ritrovata libertà politica e in questa libertà politica però Il Pioniere non mi sembra che sia stato molto in grado di mantenere la barra dritta come era riuscito a fare invece durante la clandestinità.

È molto facile nel ‘43-’44 parlare in termini anche molto duri, molto netti di epurazione, necessità di mettere al muro i padroni. Il Pioniere non parla di mettere al muro i padroni, però per capirci la tendenza è quella, comunque c’è un messaggio molto chiaro.

Ma appena la guerra finisce l’idea che mi sono fatto io è che più o meno tutta la comunità dica la guerra è finita, basta con gli incendiari, adesso abbiamo una valle da ricostruire, effettivamente le fonti ci dicono che questa valle ha avuto delle distruzioni materiali importanti. I ragazzi che hanno fatto parte della Resistenza, quelli che venivano da fuori se ne sono tornati a casa, quelli che erano già a casa qui, hanno posato il fucile e avevano l’urgenza di lavorare, lavorare, tornare a vivere.

Molti magari volevano mettere su famiglia, riannodare dei legami familiari e amicali che erano stati interrotti, quindi nel contesto del post siamo portati a credere che ci sia un grande fermento. E’ vero, c’è un grande fermento in una comunità così piccola come la Val Pellice, mi sembra di poter dire che le esigenze materiali prevalgono molto di più sull’esigenza politica che ha Il Pioniere in quel momento.

E quindi il prima e il dopo consentono di vedere come cambiano le condizioni nelle quali un giornale clandestino si trova a operare. Prima è più facile, tra virgolette, esprimersi, dopo diventa più complesso.

Perché banalmente ricompaiono anche tutta una serie di attori che la guerra civile aveva costretto a un maggiore silenzio, a una maggiore discrezione. C’è il diario di Ethel Bonnet, che a me piace tantissimo; lei scrive, prima cosa che nota, il giorno della Liberazione sono comparsi cinque giornali nuovi. A Torre Pellice, no? Cinque giornali nuovi nel giro di un giorno. Io ne ho identificato uno, gli altri non so quali fossero, probabilmente erano copie dell’Unità, quelle cose lì, però dall’oggi al domani letteralmente c’è questo: wow, ricompaiono i giornali.

C’è un prima e un dopo anche per quanto riguarda il tema cruciale su cui si concentra Gustavo per tutto il periodo della clandestinità, cioè questa famosa federazione europea di cui lui vagheggia in maniera alle volte anche contraddittoria.

Ma è comprensibile che sia un po’ contraddittorio Gustavo. A vent’anni è facile contraddirsi, è comunque un ragazzo nato e cresciuto sotto il regime fascista, quindi non ha una preparazione politica che non sia quella che si è fatto lui o che non sia quella che è riuscito a farsi negli anni della clandestinità. Quindi dovete anche immaginare cosa significa farsi una preparazione politica nmentre ti sparano, mentre devi scappare, e nel frattempo hai voglia di dire delle cose.

Però per tutto il ‘44, o meglio, fino allo sbarco in Normandia tendenzialmente, quella della federazione europea è una prospettiva che alcuni federalisti reputano praticabile, effettivamente le condizioni, quantomeno per parlarne, ci sono. Negli stessi mesi dello sbarco in Normandia era in programma un convegno internazionale in Svizzera, se non sbaglio, tra tutti i rappresentanti dei movimenti federalisti europei, che dovevano discutere molto concretamente di come la facciamo la federazione europea. Questo naturalmente Gustavo lo sa. Però, il convegno si tiene tra la prima e la seconda settimana di giugno, all’inizio dei lavori arriva la notizia che gli alleati sono sbarcati in Normandia e già la delegazione francese dice noi abbiamo la Francia da ricostruire, la federazione ne parliamo per un’altra volta.

Nel giro alle volte di poche ore, poche settimane, si sbriciolano una serie di prospettive che sembrano avere più forza, magari non ce l’avevano, però agli occhi di Gustavo Malan e dei suoi compagni sicuramente alcune prospettive si sbriciolano in pochissimo tempo.

Quindi può tornare utile, per quello ma anche per tante altre cose, vedere come cambia un ceto politico, perché Gustavo fa parte effettivamente di un ceto politico locale più o meno affine al Partito d’Azione. Suo fratello Roberto naturalmente è molto più attivo nel Partito d’Azione. E’ stato bello leggere come evolve il Partito d’Azione su un territorio molto piccolo, come evolvono gli altri partiti, che cosa significa appunto il ripristino della libertà di parola: cominciano a litigare tutti tantissimo, giustamente non c’era altro che voglia di litigare senza doversi sparare addosso. Il grande lascito della Resistenza credo sia questo: abbiamo sparato per mettere da parte una parte che impedisce il dibattito politico aperto e pluralista, però quel dibattito politico aperto e pluralista si fa anche senza esclusione di colpi, e quindi il ritorno della democrazia naturalmente ha un costo. Mi sembra che questo sia uno dei motivi per cui poi il Partito d’Azione soprattutto in Val Pellice fa una relativamente brutta figura, di questo possiamo parlare dopo.

A. G.

Direi di partire da dove e quando è nato questo giornale. Io ho trovato nel tuo lavoro, che è una tesi universitaria in parte diventata libro, una cosa che è relativamente nuova, positiva: cioè hai posto a te, ai lettori degli interrogativi che non venivano posti prima. Ogni generazione rilegge quello che era stato detto e fatto prima, si pone le sue domande: ho trovato particolarmente interessante, quando l’idea di fare Il Pioniere comincia forse a partire, le riflessioni legate al fatto che abbiamo perso probabilmente i più grandi contributori del giornale che sarebbero stati Jacopo Lombardini ed Emanuele Artom, intellettuali che erano qui e che con il rastrellamento del marzo ‘44 sono stati mandati a morire, chi a Torino chi a Mauthausen. […] Veniamo alla domanda precisa: dove e quando nasce [Il Pioniere]. E come mai, questo nelle tue riflessioni non l’ho trovato, nasce un po’ più tardi di altri giornali che il Partito d’Azione cercava di far nascere fra le bande partigiane del Piemonte.

J. C.

Premetto che tutte queste sono naturalmente delle teorie, perché comunque la ricerca storica fa anche teoria: non abbiamo mai la risposta definitiva, cioè sono sicuro che la persona è morta perché c’è un atto di morte.

Sulla nascita di un giornale è molto più difficile avere la pistola fumante, come si dice, quindi anche lì un po’ per caso mi è capitato di andare a guardare effettivamente le altre testate partigiane del periodo e ho notato che effettivamente Il Pioniere nasce un po’ dopo, un paio di mesi dopo rispetto ad altre testate, soprattutto attive nel Cuneese. Non di partito, attenzione, le testate del Partito d’Azione già esistono, né Giorgio Agosti, che era qui tra l’altro, né Willy Jervis pretendono che nasca un giornale del Partito d’Azione.

Il comando del Partito d’Azione tendenzialmente dice: tutti questi fogli, questi comunicati che si affiggono, tutto bellissimo, giustissimo comunicare con la popolazione però c’è un’esigenza anche di organizzazione, quindi tutto quello che pubblicate provate a metterlo magari in un formato tipo giornale perché poi c’è anche la rivendicazione politica del fare un giornale.

Naturalmente uno può anche sfidare l’autorità e mettere un manifesto però il manifesto murale, cioè tutta la stampa partigiana murale di cui hanno parlato alcuni storici molto più importanti di me, naturalmente noi l’abbiamo persa, perché si tratta di copie volanti che vengono affisse ai muri e passa qualcuno della GNR e te le strappa quindi una serie di riflessioni probabilmente elaborate già tra l’autunno ‘43 e la primavera ‘44 noi le abbiamo perse in quella forma lì.

Si pone quindi l’urgenza di comunicare all’esterno, sicuramente ma anche di comunicare all’interno, questo dicono tutti i testimoni che sono stati interrogati sul Pioniere [concordano]. C’è l’urgenza di spiegare ai partigiani perché si combatte e questo si spiega naturalmente con la formazione delle bande partigiane in Val Pellice.

Non dobbiamo pensare cje siano tutti politicamente inquadrati: le persone dei paesi dicono: se arrivano i tedeschi, noi siamo 5 o 6, siamo armati, se questi arrivano gli sparliamo. Il processo di organizzazione politica e militare che nasce da Torre Pellice, dal gruppo più vicino al Partito d’Azione, ha come corollario: cominciamo a sistematizzare tutto quello che abbiamo detto fino ad adesso e cerchiamo di comunicarlo meglio ai nostri compagni di lotta

C’è una serie di contingenze che si verificano, alcune molto fortunate: nell’estate del ‘44, la primavera-estate del ‘44, le formazioni della Val Pellice sono particolarmente arrembanti, si stanno ingrossando molto, quindi c’è anche un certo entusiasmo, guarda quanti siamo, adesso c’è l’urgenza di dire qualcosa.

Poi ci sono invece le contingenze molto sfortunate perché siamo abbastanza sicuri che a proporre l’idea di un giornale sia stato Willy Jervis, per l’appunto, ma Willy Jervis ugualmente, tanto quanto Artom e Lombardini viene arrestato nel marzo, mi pare anche lui, del ‘44; lui sicuramente avrebbe potuto dare un input ulteriore.

E poi c’è di nuovo la contingenza sfortunata per Gustavo perché lui dice io ero convalescente in quel momento, si era rotta una gamba non me lo ricordo più si era rotta una gamba durante il rastrellamento, ha detto sono così seduto ho tanto tempo quindi posso scrivere.

Sono abbastanza convinto che il discorso che hai fatto tu sull’assenza purtroppo di Artom e Lombardini sia molto calzante cioè loro sono effettivamente due personaggi anzitutto più anziani Lombardini è molto più anziano rispetto alla media dei suoi compagni, Artom è un intellettuale fatto e finito con tutto quello che comporta essere un intellettuale come Emanuele Artom, cioè un intellettuale pieno di dubbi. Leggetevi il suo diario, è molto molto bello perché ci parla di tutti i dubbi che ha.

Però sono due personalità importanti: Emanuele Artom quando va a trovare i combattenti magari viene accolto inizialmente come uffa che noia arriva questo chissà cosa ci deve raccontare, la rava e la fava; e però poi nell’arco di un pomeriggio magari sono gli stessi partigiani che dicono, ah però ci ha convinto.

Cioè non è tanto Emanuele Artom a dire sono salito agli Ivert, ho parlato per tutto il pomeriggio e li ho convinti; no no, lui questa cosa non è assolutamente sicura di esser riuscito a farla. I suoi compagni invece dicono: ah è salito questo qua bruttarello con gli occhialini proprio un intellettualino di città però come parla bene.

Quindi sono due intellettuali per l’appunto molto molto importanti. Lombardini è anche una forma di predicatore tra l’altro, sono due intellettuali molto diversi tra loro: mentre Artom è molto laico, Lombardini ha un afflato religioso fortissimo.

Sicuramente mettere tutti questi elementi su un giornale non so se sarebbe stato meglio, sicuramente sarebbe stato diverso, e quindi chissà poi non è neanche detto che nascendo un giornale loro due presenti avrebbero continuato ad animarlo perché sicuramente Artom era uno di quei personaggi che per la vita del partito poteva fare moltissimo, come Del Mastro per esempio, anche lui aveva cominciato qui e poi è stato trasferito a più alti incarichi all’interno dell’organizzazione armata. Magari Artom avrebbe fatto la stessa cosa se non fosse stato appunto catturato e torturato e poi assassinato.

A. G.

Quando dicevi di Artom che provava a far capire alle bande che cosa succedeva, cosa era successo durante il fascismo… Ho in mente l’intervista fatta molti anni fa a un partigiano qui di Torre Pellice, Luigi Penna: mi diceva che quando arrivava Artom lo vedevano chiaramente da lontano perché c’erano vedette con cannocchiali come doveva essere e un gruppetto di cui lui faceva parte correva subito dal cuoco a dire fai una grande quantità di pasta, lo riempiamo di cibo e così la conferenza dura poco, lo definivano “il politruc” cioè un politicante. Però queste persone hanno poi modificato la loro opinione.

Dunque abbiamo detto che ci sono stati nella primissima fase dei fogli murali perché quello si riusciva a fare. Invece quando si passa al giornale la domanda è ovviamente come si riesce a farlo dove lo si fa e poi una volta fatto come si fa a farlo avere alla gente, chi lo porta, chi lo distribuisce.

Le risposte in parte le conosciamo già abbastanza bene, ne abbiamo discusso prima, però è bene rifare un punto della situazione anche alla luce dei tuoi studi.

J. C.

[…] Volevo partire dalla distribuzione del Pioniere che è la cosa che mi ha affascinato di più.

Tendenzialmente [si] riconosce alle staffette il ruolo principale di aver distribuito il giornale. Non mi piace tanto l’uso di staffette come termine [per indicare] le tante ragazze che hanno contribuito a distribuire Il Pioniere. Anche quel famoso documentario che era stato fatto sul Pioniere in cui si intervistavano Dina Bellion e altre [Il Pioniere, l’informazione clandestina da Radio Londra alla Val Pellice. Di Manuela Cidda e Francesco Momberti, 1999-2005]: le fa passare solo come le ragazze che distribuiscono Il Pioniere. Loro stesse peraltro, che sono partigiane [si definiscono staffette].

Poi il termine staffette può tornare utile per avere magari una pensione a guerra finita, d’accordo, non è quello il punto; però è diventato anche un termine sminuente nei confronti dell’attività che fanno queste ragazze, [fra cui c’è] anche la distribuzione del Pioniere.

Ma proprio Dina Bellion in un’altra sua testimonianza racconta: dice io non ho mai partecipato ad azioni armate, al massimo una volta ho buttato dei chiodi sulla strada dove passavano i camion dei tedeschi. Scusa, questa è un’azione armata! Lei come tante partigiane ha purtroppo per motivi di secolare oppressione la tendenza a sminuire quello che ha fatto, a non riconoscersi magari l’attività di partigiana combattente perché non ha utilizzato le armi. No, queste partigiane effettivamente oltre a distribuire Il Pioniere che già è un bel rischio, partecipano anche a tutta una serie di altre iniziative che sono di supporto alla lotta armata nel senso che non imbracciano le armi però.., abbi pazienza, se butti dei chiodi sulla strada e ti vede qualcuno magari non è che ti tratta meglio di come tratterebbe una persona armata, magari ti spara.

C’è poi tutto il discorso del sostegno materiale tanto ai partigiani, tanto alle famiglie. Queste ragazze si accollano anche magari di andare dalle famiglie di un caduto e comunicare guarda mi spiace purtroppo tuo figlio, tuo fratello è morto. E in tutto questo vanno anche in giro a distribuire questo giornale, coordinate dalla famosa professoressa Anna Marullo.

Anche lei credo sia particolarmente nota da queste parti soprattutto per la modestia che ha sempre avuto. Mai rilasciato un’intervista, avrà scritto qualcosina in cui tendenzialmente diceva io non ho fatto niente di che. Ha fatto moltissimo naturalmente anche lei, poi ne parliamo, soprattutto per il dopo guerra.

La distribuzione e la produzione [del Pioniere]. La produzione, e questo è tipico di tutte le testate clandestine. è ristretta ad un nucleo abbastanza piccolo, tutti maschi, anche se sul Pioniere c’è un esempio di un articolo scritto da una donna per motivi un po’ sotterranei, poi magari ne parliamo perché mi piace tanto quella vicenda lì.

C’è un circuito molto piccolo di redattori. E poi dobbiamo immaginare, non [solo] per Il Pioniere ma per tutta la stampa clandestina, dobbiamo immaginare che funzioni un po’ a cerchi concentrici, cioè dove arrivano le informazioni in qualche modo le si colleziona: ci sono i comandanti partigiani che scrivono qualcosa, i compagni di un ragazzo caduto che scrivono il necrologio, e magari si prende da un articolo, si trascrive un comunicato di radio Londra…

E’ un cerchio che si ingrossa parecchio, alle volte diventa anche un po’ difficile seguirlo. Avevo trovato degli articoli che non ho capito come Gustavo abbia trovato, cioè articoli tipo da giornali svizzeri, lui non ha mai detto, non scrive ah l’ho trovato qui; cita sul Pioniere c’è un articolo da un settimanale svizzero… Io non l’ho trovato in rete, lui l’avrà letto perché gli sarà arrivato in qualche modo. Perché Torre Pellice è anche un centro importante per la stampa clandestina in Piemonte, cioè non vi viene stampato solo Il Pioniere, vi vengono stampati anche giornali di partito, del Partito d’Azione, vi viene stampato anche uno sfortunatissimo foglio comunista che è la Forgia: due numeri, non ho neanche capito perché abbiamo smesso di pubblicare quel giornale perché era molto divertente.

E quindi tutto questo mare magnum di gente che scrive, che trascrive, copia, ricopia, distribuisce… Il circuito di produzione e distribuzione spesso e volentieri tendono a confondersi.

C’è il nucleo principale che è quello composto da Gustavo che scrive tutti gli articoli di analisi politica; ci sono alcuni come Giulio Giordano, che scrive i necrologi delle persone che conosce, e poi arrivano notizie da un po’ ovunque. Quindi dobbiamo immaginarlo non come una redazione vera e propria: è un gruppo che si occupa di mettere insieme delle notizie che arrivano un po’ da ovunque, e il giro della distribuzione non è neanche solo il giro di distribuzione del Pioniere, è parte integrante di un’attività clandestina molto pericolosa.

Tra l’altro [per le staffette] oltre alla cura nei confronti dei partigiani, oltre all’andare a portare aiuti alle famiglie, c’è anche questa cosa di trasportare le armi, trasportare esplosivi in bicicletta […].

Nel caso del Pioniere il circuito di distribuzione è composto se non sbaglio solo da donne, c’è un ragazzo che partecipa anche a quella distribuzione, è un giovane non in età militare. […]

A. G.

Vorrei parlare dei necrologi e dell’uso dei nomi oppure no durante il periodo clandestino, ma prima vorrei aggiungere a quanto hai detto sulle partigiane combattenti o staffette: ci sono state donne che hanno anche apprezzato il fatto che almeno hanno avuto una qualifica, sono state staffette. Anche se poi hanno fatto ben altro oltre che portare cose. Dina Bellion ci ha anche raccontato di aver trasportato più volte armi dai paracadutaggi che venivano fatti nella zona di Campiglione Fenile fino in Val d’Angrogna, passando più posti di blocco. E i rischi erano forse anche maggiori di chi girava armato, perché se lei aveva un’arma nascosta e veniva presa chissà che fine le facevano fare: a lei, non all’arma.

I necrologi: quando sul giornale clandestino si parla di ciò che accade c’è il0 rischio di esporre quelli che stanno combattendo e i loro familiari. Tutte le copie del Pioniere degli altri giornali clandestini erano negli archivi della GNR, la Guardia Nazionale Repubblicana, che produceva addirittura talvolta quotidianamente, settimanalmente in altri casi, delle relazioni per il Ministero degli Interni dove si diceva questo giornale ha scritto questo e questo. Insomma i nomi che comparirono lì arrivavano sui tavoli fascisti. Tu che hai studiata un po’ a fondo la vicenda, di cosa ti sei accorto rispetto all’uso dei nomi dei combattenti nei necrologi, o riportato nelle notizie delle azioni di battaglia, o altro?

J. C.

[…] Ci sono delle conseguenze per le famiglie dei partigiani caduti, da un certo punto i necrologi smettono di riportare nomi e cognomi e riportano solo i nomi di battaglia.

[…] Da quello che ho notato il fatto stesso di appartenere alla famiglia di un partigiano caduto non comporta delle rappresaglie dirette, comporta tutta una serie di vessazioni, quello sì.

C’è un caso particolarmente toccante: durante una di quelle sedicenti operazioni di polizia, non della Guardia Nazionale Repubblicana ma della Brigata Nera, in casa della famiglia Santiano, la famiglia del partigiano caduto [Renzo Santiano, catturato alle bergerie del Ghinivert, giustiziato a Perrero il 22 agosto 1944]: i fascisti entrano, per fare quello che fanno nel paese in quel momento cioè entrano, rubano dicono di stare cercando partigiani.., entrano in casa della famiglia Santiano, vedono la foto che è la foto del ragazzo morto e la strappano; uno di loro, mi pare che sia il brigatista nero Racca, strappa la foto davanti alla mamma, questo non è un eroe, è solo un bandito.

E’ l’unico esempio che ho trovato […]. Un partigiano molto più noto qual era Sergio Toja: a me non risulta che la madre di Sergio Toja abbia avuto a subire delle rappresaglie dirette, il che non vuol dire naturalmente che non abbia subito particolari forme di vessazione, di cui però io non ho trovato traccia.

Ci si muove sempre un po’ [a tentoni], quando io trovo dei non detti non posso dare una risposta. […]

I necrologi: sono anche la possibilità per i partigiani di approcciare la scrittura, approcciare la scrittura per scrivere di un compagno caduto. Il necrologio di Malgaroli è stato scritto dai suoi compagni, viene scritto collettivamente.

C’è la lettera della sorella di un partigiano morto, Fiorenzo Blanc, che viene scritta da sua sorella. Il Pioniere la presenta appunto così, la sorella di Fiorenzo Blanc. Però scrivere la sorella di un partigiano ci scrive questa lettera, tende a mettere per forza di cose in ombra il ruolo che ha avuto Laura Blanc nella Resistenza. Senza naturalmente che chi ha ricevuto quella lettera lo faccia apposta, abbia chissà quale pregiudizio.

Laura Blanc si è avvicinata all’organizzazione armata, non credo abbia mai partecipato ad azioni armate ma, di nuovo, non lo so, prima del fratello, cioè la politicizzazione del fratello più giovane si deve alla sorella maggiore, ma si verifica un po’ una distorsione, per cui il partigiano morto diventa importante e la sorella è solo la sorella. In verità alla sorella si deve la politicizzazione del fratello.

E’ l’unico testo [del Pioniere], mi pare, scritto da una donna, non credo neanche sia stato scritto per essere pubblicato, perché le donne scrivono una lettera al comandante, che in quel momento credo sia Favout. Scrive una lettera al comandante del fratello dicendo comunque se avete bisogno venite a casa, la famiglia vi accoglie.

Queste cose rompono un pochino le narrazioni più facili.

L’ultima cosa che volevo dire invece non tanto sui necrologi ma sulla morte, sulla rappresentazione della morte e sugli spazi della morte, è che questi mi sembra siano stati qui un terreno di scontro, tanto quanto qualsiasi altro terreno di scontro.

Un partigiano muore, la popolazione gli vuole fare i funerali e i funerali vengono fatti, però magari ci scappa l’interdizione da parte del comandante tedesco della piazza che dice no, il funerale non si può fare perché quello è un bandito; e allora c’è il pastore valdese o il parroco che va col cappello in mano a chiedere un favore, la famiglia ci tiene tanto…

Quindi lo spazio anche del lutto è uno spazio di conflitto molto forte.

Da parte loro ci si mettono anche i tedeschi, e quando cade in combattimento uno di loro, [questo è successo in] almeno in due casi che ho riscontrato qui, un altro caso lo ha riscontrato Giovanni De Luna su Barge.., i tedeschi prendono molto sul serio la morte del proprio caduto e impongono la partecipazione al funerale, impongono anche un dominio sonoro, non si suonano le campane solo alla fine della funzione funebre, si suonano le campane da quando comincia la funzione funebre a quando la salma è arrivata nel cimitero, tutta la popolazione naturalmente deve partecipare e ci sono cecchini sui tetti.

La morte in generale è uno spazio di conflitto molto forte.

L’unico giornale attivo in valle oltre al Pioniere in quel momento è l’Eco delle Valli Valdesi, che è il giornale come sapete della chiesa valdese. [L’Eco] nei confronti della morte ha un rapporto molto più discreto, non riporta quasi mai per esempio di partigiani caduti, o se riporta di persone uccise non dice che sono state uccise, sono ascese al padre, sono morte in tragico incidente.

Ha fatto abbastanza specie leggere per esempio della morte della guardia municipale di Torre Pellice, Bertinat, giustiziato dalla resistenza: il giornale della chiesa dice morto in un tragico incidente, non si capisce come a 30 anni uno possa morire in un tragico incidente sul ponte, tra l’altro lo trovano con un buco in fronte.

Quindi raccontare che la morte è morte violenta è importante anche per Il Pioniere: guardate che sta succedendo qualcosa di molto grosso, che giustamente la popolazione tende a non voler vedere, e l’unico canale ufficiale di stampa tende anche non a voler coprire, però aa ammantare un pochino di un maggiore riserbo.

Mettendo a paragone i necrologi del Pioniere e quelli pubblicati dall’Eco delle Valli Valdesi si ha proprio un po’ la percezione dello scarto tra chi sta facendo la Resistenza e chi sta tendenzialmente sperando che questa cosa finisca, cioè che la guerra finisca perché non se ne può più.

A. G.

[…] Stiamo ancora parlando del periodo clandestino e ci sarebbe anche qui tantissimo di più da dire, ma per arrivare anche al periodo non più clandestino, perché abbiamo detto all’inizio che Il Pioniere ha questa vicenda così specifica per cui si è qualificato come un giornale che ha voluto continuare a esistere per il territorio dopo che la Resistenza aveva esaurito il suo compito: soffermiamoci sullo spartiacque, sulla transizione, il 25-30 aprile. Il Pioniere esce nei modi che può. Raccontacelo.

J. C.

È molto difficile raccontare questa parte. Abbiamo detto che Il Pioniere da un certo punto viene stampato in tipografia, nel frattempo le persone che fanno parte del gruppo di redazione, chiamiamolo così per semplicità, assumono anche ruoli diversi. Giulio Giordano va a fare il commissario politico in pianura, quindi durante l’insurrezione Giulio Giordano sta passando di paese in paese a certificare la nascita dei CLN comunali. Modonese è impegnato a organizzare gli operai per tutto l’inverno ‘44-’45. Quindi [possiamo vedere] il Pioniere come scuola di commissariato politico, come luogo di formazione di un ceto dirigente delle formazioni partigiane.

Dovendo sommare una serie di responsabilità nuove alle incombenze della pubblicazione, il giro di produzione e di distribuzione si allarga un po’ troppo, tant’è vero che l’ultimo numero della clandestinità è quello che esce in due numeri, c’è uno che viene pubblicato a Torre Pellice e uno che viene pubblicato a Carignano. Perché Gustavo Malan in quel momento è a Carignano, anche se lui ha sempre negato di essere stato a Carignano, non si capisce come, però lui effettivamente deve aver scritto il numero del Pioniere a Carignano e poi ha sempre detto che non c’è mai stato; però anche Giulio Giordano mi ha fatto vedere il fogliettino, diceva c’è scritto qua, anche noi a Carignano, l’ha scritto Gustavo, riconosco la calligrafia. Per dire che il momento della liberazione è già un momento abbastanza confuso di suo. Il giro di produzione è naturalmente molto più rarefatto in quel momento perché ci sono altre responsabilità e quindi abbiamo questa situazione molto divertente perché escono due numeri del Pioniere al 27 di aprile. Quello stampato a Torre Pellice, leggendolo, non è che si capisca come è andata la liberazione di Torre Pellice. Perché? Perché la maggior parte delle informazioni che sono riportate relativamente alla liberazione di Torre Pellice e dell’alta valle sono informazioni di seconda mano, cioè non ci sono i comandanti che scrivono abbiamo fatto questo e quest’altro, ma sono appunto quelli del gruppo del Pioniere che ricevono le informazioni su cosa è successo in valle e lo scrivono.

Per questo motivo è complicato raccontare la liberazione di Torre Pellice. Per di più è un momento di estrema violenza, immagino che voi naturalmente sappiate tutto quello che è successo qui, è un momento molto confuso, dura due o tre giorni, dalla liberazione di Bobbio in giù passano due o tre giorni, perché i tedeschi cominciano a ritirarsi il 25, primo pomeriggio del 25, ma il 27 sono ancora qui, cioè ancora a Torre Pellice. Si spara, muore parecchia gente, per inciso. Quindi raccontare la liberazione leggendo solo Il Pioniere diventa molto difficile e per questo torna utile andare a leggere quello che hanno scritto altre persone: relazioni dei comandanti, diari, articoli di altri giornali, le relazioni dei parroci, le relazioni dei pastori…

Queste mi sono divertito tantissimo a leggerle perché poi faccio i collegamenti tra i personaggi, in questa relazione c’è questo, in quell’altra non c’è… Quindi è molto difficile arrivare a delle risposte definite su momenti così confusi.

Questa confusione sulla liberazione di Torre è indicativa quantomeno di un gruppo che si è espanso moltissimo, se andassimo a cercare i comandanti storici delle valli dove sono in quel momento sono tutti a Torino, tutti a Torino che combattono per la liberazione di Torino, quindi in verità se volete sapere cos’è successo in Val Pellice non potete chiederlo a Roberto, non potete chiederlo a Renato, non potete chiederlo a questo o quell’altro perché sono tutti a Torino, a liberare Torino.

La domanda era cosa succede in questo spartiacque? Ho risposto, ho risposto confusamente perché il momento è confuso, la situazione era complicata.

A. G.

No abbiamo bisogno proprio di sguardi nuovi per rinnovare gli interrogativi da porre circa quello che è successo. Appena dopo la liberazione Il Pioniere esce, continua a uscire settimana dopo settimana ed è il momento in cui c’erano due processi in corso: la resa dei conti coi fascisti più colpevoli; fino a metà maggio, catturati vengono fucilati, anche nella piazza principale di Pinerolo, altrimenti a San Germano; e quelli meno cattivi che meno avevano infierito sui resistenti si vuole epurarli, si vuole toglierli dai luoghi di potere perché non sono più degni ovviamente di ricoprire quelle cariche. Lo Stato che era stato fascista ne trasuda, anche le scuole; ad esempio sappiamo non dal Pioniere ma da altre fonti che si crea un comitato anche a Torre Pellice legato a quello di Pinerolo per provare a epurare gli insegnanti che avevano insistito sulla giustezza del progetto fascista. Come racconta Il Pioniere questo turbolento mese di maggio, ancora di giugno? Come racconta questo processo di epurazione che si tenta di avviare, e come va avanti questo processo stesso?

J. C.

La verità è il periodo della cosiddetta giustizia di transizione, cioè quando gli alleati dichiarano di chiudere un occhio su tutto quello che succede però quando poi arriviamo noi non deve volare più una mosca, in verità Il Pioniere lo tratta con estrema tranquillità. Fascista, cattivo, hai perso, ti metto al muro, ti sparo, basta. La notizia è questa.

Ma neanche fascista cattivo, no no: al pennone di detto palazzo comunale abbiamo appeso tizio e caio. Buono, fine. Pensare la guerra è finita, adesso regoliamo i conti con i fascisti, quelli in camicia nera che hanno fatto parte delle squadre armate, della brigata nera, della GNR, e anche delle formazioni regolari della Repubblica Sociale Italiana, [leggendo Il Pioniere] sembra che sia una cosa normalissima, cosa che di fatto è normalissima perché sfido voi, sfido noi stessi a non voler mettere le mani addosso a chi ti ha sparato per mesi, nel momento in cui hai la possibilità di farlo.

Questo per quanto riguarda la cosiddetta giustizia di transizione, cioè il periodo in cui gli alleati non sono ancora arrivati: le autorità legittime, perché si tratta di autorità legittime, ricordiamocelo, le formazioni partigiane inquadrate nel Corpo Volontario della Libertà, eseguono delle condanne a morte, di fatto si tratta di questo. Poi che lo facciano in maniera che a Torino può preoccupare è fuori dubbio; le esecuzioni a Pinerolo preoccupano molto, preoccupano molto il Vescovo di Pinerolo, che si rivolge ai vertici del CLN militare regionale piemontese che scrivono al Comandante Costantino dicendo ci risulta che tu faccia delle esecuzioni extragiudiziali, smettila. Ora io non so se quelle siano state esecuzioni extragiudiziali nel senso fuori dalla legalità entro la quale poteva operare il Corpo Volontario della Libertà; sicuramente quelle esecuzioni mettono molta preoccupazione almeno nel corpo sociale di Pinerolo, perché giustamente quando si arriva a Pinerolo e Pinerolo viene liberata ci si trova a dover gestire la presenza di fascisti in città che magari si sono arresi, magari si sono nascosti, a quel punto si istituiscono dei tribunali militari, il Comandante Costantino appunto presiede un tribunale militare.

Che la durezza di Costantino evidentemente abbia suscitato particolare scandalo nel Vescovo non è che mi sorprenda più di tanto, essendo il Vescovo uomo di chiesa. Dopodiché io non me la sento di parlare di giustezza o meno di quelle esecuzioni, credo si siano svolte tutte nell’arco della legalità che era riconosciuta in quel momento.

Fase diversa naturalmente è quando le formazioni devono smobilitare, quindi da maggio arriva una bella letterina del Generale Trabucchi che dice adesso abbiamo fatto la nostra bella sfilata in piazza Vittorio Veneto a Torino, abbiamo festeggiato il primo maggio, siamo tutti contenti, adesso tornate a casa perché deve instaurarsi il governo militare alleato, la faccio molto breve.

Le formazioni quindi smobilitano e continuano le esecuzioni post liberazione; ci sono almeno due o tre casi di cui Il Pioniere ne parla, ma qui il tono è cambiato, tra la fine del ‘45 e l’inizio del ‘46 Il Pioniere non denuncia, però dice sono stati ritrovati cadaveri di ex fascisti e lì si apre un dibattito politico sul Pioniere, ma ha senso ammazzarli adesso? C’è un redattore del Pioniere che fa tutto questo discorso in cui dice evidentemente non ci fidiamo abbastanza della giustizia in questo momento ed è comprensibile, vi invito a leggere i tanti testi che sono stati scritti sui fallimenti nei processi epurativi, però la linea del Pioniere è adesso costruiamo una nuova legalità per cui non ci sarà più bisogno di assassinare delle persone, perché in questo caso si parla di assassini, cioè non siamo più nel quadro della legalità insurrezionale, siamo nel quadro di la guerra è finita, le formazioni hanno smobilitato, però ogni tanto in un fosso salta fuori il cadavere di uno che era stato fascista. Il Pioniere su questo si pone in maniera molto chiara, quelle esecuzioni lì non sono esecuzioni sensate, dobbiamo tornare ad una dialettica diversa anche per quello che significa epurare.

Ora, sull’epurazione il discorso è un po’ più complesso, perché l’epurazione pensiamo che sia una cosa un po’ facile, in verità l’epurazione è una storia molto complicata dal punto di vista legale, perché si tratta di processi legali naturalmente, cioè ci sono dei decreti attuativi che vengono redatti prima, addirittura tra la fine del ‘43 e l’inizio del ‘44, poi dopo la liberazione di Firenze. Addirittura si dice beh forse dovremmo rivedere un attimo i criteri di epurazione..; quindi c’è un quadro legale nazionale sancito dal governo italiano in quel momento che dice si deve epurare secondo questi criteri, quindi si deve denunciare, si deve andare in tribunale eccetera eccetera.

Qui l’epurazione non va bene, nel senso che c’è sicuramente una commissione d’epurazione attiva in comune a Torre Pellice, ma Il Pioniere si lamenta che non fa niente. Purtroppo non ho trovato nulla che possa confermare o smentire questa affermazione. Il settore sul quale si muove di più il processo epurativo è sicuramente quello della scuola, in generale la scuola già durante la clandestinità è un ambito di intervento molto importante per la resistenza, quella disarmata. La professoressa Marullo e Frida Malan suscitano dei comitati di maestri e di professori in Val Germanasca inizialmente, cominciano a rimettere mano ai libri di testo perché dicono poi quando la guerra è finita i libri di testo dobbiamo strappare un po’ di cose, riscriverli, quindi c’è un’attenzione al mondo della scuola e mi sorprenderebbe il contrario, questa attenzione c’è dappertutto.

Mi sono letto anche il fascicolo sull’epurazione nel mondo della scuola a Torino: una quantità di presidi vengono naturalmente licenziati, una quantità di dirigenti, una quantità di professori universitari, ordinari che vengono cacciati, non fatemi commentare.

Qui invece va peggio, ma per due motivi secondo me, il comitato scolastico, cioè il Comitato di Liberazione Nazionale scuola di tutta la valle passa al setaccio soprattutto l’attività dei dirigenti scolastici. A Torre Pellice ci sono in quel momento mi pare tre istituti scolastici, due dirigenti, due professoresse non vengono toccate in verità, nel senso che si dice ah sì, sono un po’ fasciste però… Una in verità veniva da Napoli, era sfollata, arriva qua, ma chi la conosce? Magari poi se ne va.

Un’altra dicono ma non importa… Alla fine niente di grave, cioè probabilmente non è che manchino magari gli estremi per procedere ad una pratica di epurazione, però mi sembra più logico pensare che si sia scelto anche chi colpire con maggiore tenacia in funzione del ruolo che ricopre. Le dirigenti che magari vengono da fuori, che magari potrebbero andarsene di qui a qualche giorno, ma non importa, se ne tornassero a casa loro. Invece su chi il Comitato di Liberazione Nazionale della scuola si concentra molto? Sul preside del liceo Valdese.

Per motivi vari, c’è un esposto molto articolato presente nell’archivio della Tavola Valdese, per chi vuole andarlo a vedere si può, in cui ci sono tutte le accuse naturalmente rivolte da varie personalità del mondo della scuola, tra cui anche la professoressa Marullo, al preside Tron. […]

C’è una cosa per cui il preside Tron non viene citato in questo esposto, che è una cosa secondo me un po’ più grande onestamente, ma di nuovo è tutto da provare quello che vi sto dicendo. Tutti i presidi vengono sollecitati dalle autorità della Repubblica Sociale Italiana a segnalare gli studenti in età militare che sono renitenti alla leva e a prendere provvedimenti in merito. Molti presidi lo fanno, il preside Tron effettivamente scrive una lettera al provveditorato dicendo ho sanzionato con l’espulsione questi studenti. Questa è l’unica prova che ho, non c’è poi lo studente che dice è vero sono stato.., tutto questo nell’esposto non c’è.

Questa è un’accusa effettivamente molto grave, molto circostanziata, che però nell’esposto contro il preside Tron non c’è, quindi dobbiamo prenderla con beneficio di inventario perché magari lui ha risposto questa cosa alle sollecitazioni dei suoi superiori e poi in verità non ha fatto niente, non siamo in grado di dire né è stato brutto e cattivo, né è stato buonissimo.

C‘è tutta una serie di cose molto esteriori anche, cioè l’imposizione del saluto romano in classe, ci sono anche beghe personali, Anna Marullo denuncia che il preside Tron per esempio non le ha concesso un tot di terreno da coltivare per la propria sussistenza. Quel processo di epurazione va malissimo perché la Tavola Valdese in questo caso risponde in maniera molto compatta dicendo è nostra prerogativa valutare l’operato dei nostri dipendenti, non troviamo alcun problema in quello che ha fatto il preside Tron, quindi non lo licenzieremo, non l’epureremo.

Sulla figura del preside Tron effettivamente c’è una prima spaccatura all’interno del fronte ciellennistico perché c’è quella famosa lettera di cui abbiamo parlato una volta ma che non ho mai più trovato, in cui Gustavo Malan mi pare si lamenta che lui aveva già un articolo pronto contro il preside Tron, avrebbe detto tutto, adesso vi dico tutta la verità sul preside Tron e Anna Marullo invece nell’allegato all’esposto scrive alla Tavola Valdese io ho impedito che venisse pubblicato un articolo perché invece noi siamo rispettosi del processo democratico interno e non vogliamo che questa cosa diventi un teatrino. Perché alla fine in una comunità così piccola non si parla di sanzionare semplicemente il preside del liceo valdese, si tratta di sanzionare una personalità importante, molto importante come tutti i professori del liceo valdese, come tutti i membri del corpo pastorale.

C’è un altro caso di tentativo di epurazione nel mondo valdese che però passa abbastanza subito in cavalleria che è quello del professor Jalla che è anche tra l’altro presidente del comitato locale della Croce Rossa. Il Pioniere scrive sarebbe proprio il caso che Jalla venisse epurato, non c’è nulla di legalmente valido per fare epurare Jalla in quel momento, Il Pioniere lo accusa di cose piuttosto fumose, cose magari poco edificanti per carità, che è andato in macchina con i tedeschi, vabbe’ magari poteva aver preso un passaggio per quanto ne sappiamo. Per dire quanta passione c’è nel vedere magari le persone che sono responsabili della tua formazione che ti sembrano meno rigorose di quello che ti hanno sempre detto di essere, mentre tu invece sei in montagna con il fucile e devi sparare ai tedeschi e vedi il tuo professore di storia che è amichevole, che ne sai perché il tuo professore di storia è amichevole con i funzionari della Repubblica Sociale o con gli ufficiali della Wehrmacht?

E questo succede comunque in tutti gli enti pubblici. Il povero segretario comunale Gambino ha sicuramente aiutato la Resistenza, se andate qua in comune a chiedere il registro di protocollo ci sono i verbali della giunta clandestina che si riunisce talvolta in comune quindi c’è tutto il personale del comune che sa che ci sono delle persone che non sono dipendenti del comune che si stanno riunendo per discutere cosa fare nel frattempo, quei verbali vengono scritti dal povero segretario Gambino sul registro di protocollo, li firma perché si sente talmente convinto di quello che sta facendo che ci mette il nome perché è un atto ufficiale; e il povero Gambino poi si deve trovare ad affrontare un processo di epurazione e viene addirittura declassato mi pare, gli tolgono un pezzo di stipendio e a quel punto dovranno intervenire poi i resistenti e i funzionari di comune ma no, figuratevi, è Gambino, per carità!

Quindi nell’epurazione c’è anche questa incapacità di andare veramente a fondo perché banalmente in un contesto di guerra civile è molto difficile essere netti, soprattutto se si ricopre un incarico pubblico, ovviamente essere un militare è un altro pari di maniche, però se sei un funzionario comunale, il medico condotto, fai delle cose di cui magari non sei felice. C’è una serie tv bellissima che titola Un villaggio francese, ha la supervisione storica di uno storico francese, Jean-Pierre Azéma, fa vedere tutte queste cose, cioè il piccolo imprenditore locale che odia i tedeschi, però i tedeschi gli danno da lavorare e lui non vuole licenziare gli operai, e gli operai lo odiano perché ha a che fare coi tedeschi.

In contesto di occupazione e di guerra civile ci si deve scontrare con queste cose, è tutto molto complicato.

A. G.

Certo quello è. Per il Jalla infatti tutto si è spento, però c’era una rabbia partigiana, perché appunto Attilio Jalla aveva anche assecondato addirittura le politiche razziali, essendo lui un conferenziere sulle leggi della razza del ‘38. Suo fratello, il generale della Repubblica Sociale Luigi Jalla, era stato fatto venire dal Preside Tron a convincere gli studenti ad arruolarsi nella Repubblica Sociale. Tutte queste cose erano accadute e c’era una rabbia, però era difficile appunto affrontarle perché è sempre il contesto che determina tutto: c’era la voglia di ripartire, c’erano mille cose, per cui il Gustavo del Pioniere a un certo punto si ferma.

Allora andiamo verso la conclusione, siccome è interessante poi rispondere ad eventuali interrogativi, concludiamo con il dopo. Il Pioniere è esistito ancora dopo e non per un periodo effimero di due o tre mesi, ma è durato di più. Cosa è stato questo dopo e perché è finito?

J. C.

Allora, velocissimi. Il Pioniere finisce più o meno alla fine del ‘46, gli ultimi numeri sono di ottobre-novembre 1946. C’è un altro momento in cui Il Pioniere cambia, sicuramente, che è dopo la liberazione. Nel maggio, giugno, viene sospeso dalle truppe alleate.

Noi non sappiamo effettivamente che cosa succede. Non sappiamo il punto di vista del Pioniere per il periodo tra maggio ‘19’45 e settembre-ottobre ‘45, che è un periodo incredibile in valle. Abbiamo notizie di scioperi in Val Pellice, ma purtroppo l’unico giornale che è attivo in quel momento è il Pellice, che mi risulta essere finanziato dai Mazzonis, che quindi non hanno alcun interesse a che vengano pubblicate notizie sugli scioperi nei propri stabilimenti. Scioperi che comunque sono comuni a tutto il Piemonte. […]

Quindi abbiamo questo buco. Dopo questo buco, effettivamente, la direzione del Pioniere cambia, anche l’impostazione del giornale a me sembra un po’ cambiare. Per motivi vari.

Si avvicinano degli appuntamenti elettorali importanti, per cui bisogna cominciare a concentrarsi. Ci sono le elezioni amministrative nella primavera del ‘46, Torre Pellice fu uno dei primi comuni coinvolti nella prima tornata di elezioni libere, prima del 2 giugno. Quando dicono che il 2 giugno è la prima elezione libera.., le elezioni amministrative della primavera del ‘46 sono la vera prima elezione libera, la prima tornata del ‘46.

C’è questo momento da preparare, quindi c’è una rete di partito da provare a impiantare sul territorio. Ci sono dei personaggi politici nuovi, perché il gruppo liberale è tornato effettivamente ad essere importante in valle.

Ci sono i partiti che poi diventeranno i partiti di massa, che in quel momento cercano di capire in che modo impiantarsi sul territorio. Ci sono un sacco di cose da fare, c’è gente che torna dalla Germania e bisogna occuparsi di loro.

Dove sono finiti i morti, bisogna andare alla ricerca dei morti. Tutto maggio-giugno è il periodo dei funerari, quindi traslazioni di salme da un comune all’altro, dei funerari enormi.

In tutto questo poi la gente deve anche vivere. Gustavo riprende gli studi universitari, si laurea, cerca tra l’altro di portare avanti la sua attività nell’ambito del federalismo dove poteva posizionarsi tra i maggiori [esponenti] per l’appunto.

Anche Roberto. Roberto ha un ruolo importante nella segretaria provinciale del Partito d’Azione, quindi passa molto tempo a Torino.

Ugualmente Frida, che però non mi pare scriva sul Pioniere.

E’ una famiglia comunque molto impegnata. Roberto peraltro deve sposarsi, deve trovarsi uno lavoro, si deve inventare un lavoro. In tutto questo cerca anche di dirigere un giornale che ha, da quello che ho visto io, decisamente poche inserzioni pubblicitarie: non è un buon segnale. Se guardate il Pellice, invece qua le inserzioni ci sono, qua i soldi ci sono, il suo formato è di qualità superiore.

Tendenzialmente [Il Pioniere] cerca di diventare quello che voleva essere, cioè un foglio locale. Però il foglio locale si dibatte nel dibattito pubblico. E’ un dibattito pubblico e politico in vista di quegli appuntamenti che sono le amministrative e il referendum istituzionale molto molto seri. Quindi ci sono anche i momenti abbastanza brutti, devo dire, da leggere, scambi un po’ al vetriolo tra Roberto e Armand-Hugon che dirige il Pellice, si accusano di oscenità, si scrivono cose brutte.

In parte anche un po’ in vista delle amministrative e della politica con la chiesa valdese, perché i pastori dicono il Partito d’Azione non conta niente. Un pastore dice il Partito d’Azione non conta niente davanti a quattro persone e per Il Pioniere è la fine, fuoco e fiamme.

Quindi c’è un dibattito molto acceso, ci sono pochissimi soldi, questo è quello che sappiamo ancora oggi, cioè ci sono pochissimi soldi, e c’è una vita da ricostruire, e quindi tutto diventa un po’ complicato.

Se qualcuno avesse voglia di fare pressioni sull’archivio dell’Istituto per la Storia della Resistenza di Torino perché rendano fruibile l’archivio di Gustavo Malan, sarebbero entrambi contentissimi, perché sicuramente lì ci sono molte risposte. Anche la sospensione decisa degli alleati nella primavera del ‘45, noi non sappiamo perché.

No, non vi sto a fare la teoria, perché sennò non finiamo più. Però, insomma, [Il Pioniere] diventa un giornale che cerca effettivamente di rispettare quel mandato che si è dato, cioè facciamo il giornale locale, non facciamo il giornale di partito, facciamo il giornale locale; però nel frattempo c’è da fare un sacco di altre cose.

Tra l’altro, senza dire niente. Perché anche l’ultimo numero: [che sia l’ultimo numero] lo sappiamo non perché c’è scritto questo è l’ultimo numero, ma perché poi non ce ne sono più. Quindi non sappiamo neanche esattamente il dibattito interno, non sappiamo niente.

A un certo punto c’è. La cosa che sappiamo sicuramente è che mancano i soldi. E non è che lo sappiamo appunto perché ce l’hanno raccontato, ma perché andatevelo a vedere.

Cioè, è proprio un giornale che si impoverisce un pochino. Però la vivacità comunque c’è sempre.

A. G.

Allora, questo grande protagonista, Gustavo Malan, in questa vicenda, almeno la prima parte del Pioniere, ci ha lasciato una frase che andando al cimitero di Torre dove è sepolto, leggiamo sempre, cittadino, Gustavo Malan, cittadino del mondo. Chiunque di voi abbia voglia poi di leggersi soprattutto gli articoli della prima parte che sono quasi tutti prodotti da lui, trova sì la Resistenza, trova le idee per il futuro, ma in quel ragionare sul futuro c’è sempre, in ogni numero, in ogni articolo, quello che propugnava lui insieme ai suoi colleghi federalisti, la soluzione per il mondo. Cioè smettere di essere nazionalisti, non fondersi in un’unica entità perché non è realizzabile così in fretta ma federarsi.

E quindi il movimento federalista europeo e il movimento federalista mondiale sono quelli che muovono tutti gli articoli, sono quelli che muovono i neuroni di Gustavo, che propone e ripropone tutto il tempo e che riproporrà nella vita perché il suo lavoro sarà poi fondare e dirigere l’Istituto di Studi Europei di Torino.

Tutto quello che ha prodotto è nell’Istituto Storico della Resistenza di Torino e per alcuni motivi non è ancora stato reso accessibile; ma appena lo sarà, io penso che abbiamo chi ci lavorerà per produrre quello che deve uscire da lì. Domande […]?

Domanda

Qual era il suo pubblico durante la clandestinità? A chi era indirizzato? E gli articoli, erano politici? Naturalmente erano politici, ma politici in senso lato o relati a un discorso di resistenza e anche magari un po’ leggeri di informazioni eccetera? Grazie.

J. C.

Gli articoli sono tutti politici, naturalmente. L’analisi politica, come diceva Andrea, è molto orientata al futuro, che cosa faremo nel futuro. Gustavo ha questo pallino. Che tra l’altro non è neanche un pallino così chiaro alle volte.

Cioè, ci sono ovviamente delle contraddizioni interne nel progetto federalista che ha in mente, e magari un giorno cambia idea perché legge e studia qualcos’altro. Il messaggio federalista c’è, è molto forte, ma in alcuni momenti è anche molto confuso.

Il pubblico. Mi pare di aver letto che si stampano al massimo intorno alle 12.000 copie. Consideriamo che nel ‘44 Torre Pellice ha 5.000 abitanti. Se stampi 12.000 copie vuol dire che potenzialmente 5.000 persone su 5.000, comprese naturalmente bambini in fasce, potevano avere un numero di questo giornale in mano. Naturalmente non è così, perché poi le copie devono essere fatte circolare, ci sono gli appelli sul Pioniere, non buttate Il Pioniere, mi raccomando, non ve lo tenete in casa, perché può essere che lo trovino, datelo al collega, datelo all’amico, fatelo girare.

Quindi il pubblico è duplice, il discorso è, dobbiamo spiegare ai nostri compagni perché siamo qua, perché stiamo combattendo.

Per quello c’è l’analisi politica, e naturalmente tutte le notizie militari, anche le notizie dei comandi che dicono è successo questo, abbiamo fatto saltare otto metri di ferrovia, abbiamo giustiziato tot spie, e questo lo leggono un po’ tutti, in verità. Mi è venuto anche il sospetto che a un certo punto possano averlo letto i tedeschi. È improbabile, perché bisognerebbe trovare un soldato tedesco che capisce l’italiano di Gustavo, che allora non è proprio l’italiano pecoreccio, cioè, è un italiano abbastanza complesso.

Però c’è una lettera in particolare, molto buffa, che si rivolge direttamente a un soldato tedesco. Detto soldato tedesco molto probabilmente non è mai esistito […] questa lettera è rivolta non ai soldati tedeschi, naturalmente, ma alla popolazione. […] Ci sono ogni tanto degli articoli in cui ci si rivolge ai fascisti, però potete capire non ci si può rivolgere ai fascisti in quel momento, siete un po’ tonti, siete cinici, non è proprio un esempio di bon ton; ma si rivolge sempre alla popolazione.

Cambia a seconda della porzione di popolazione a cui si vuole rivolgere. Se c’è da ammonire delle ragazze per le loro frequentazioni romantiche con soldati tedeschi o repubblichini, il tono è decisamente duro. Veniamo e vi tagliamo i capelli a zero. Cosa che poi, tra l’altro, in alcuni casi viene anche fatta.

I toni sono diversi, ma il riferimento è sempre la popolazione. Poi i partigiani, però di nuovo, i partigiani fanno parte della popolazione, quindi direi che la popolazione è l’obiettivo più interessante.

I contenuti, riassumerei: analisi politica, notizie di natura militare, necrologi, tanti, in alcuni casi poesie. […] Poi, naturalmente, notizie da fuori. Il Times di Londra scrive… non si capisce com’abbia fatto a leggere il Times di Londra.

A. G.

Se ne è vantato.., tra virgolette, non si vantava Gustavo; ma se ne è vantato tra virgolette perché in un’intervista, mi sembra quella a Piton, per il libro Per Pa Eisoublià, lui ha raccontato che più volte è riuscito a pubblicare sul Pioniere notizie di quanto avveniva sui fronti, quanto avveniva sui fronti in Europa, in Normandia, eccetera, perché, grazie al fatto che avevamo qui in valle la missione alleata Orange Gobi, quindi Riccardo Vanzetti, De Leva, Squillace, ci sono stati più e più lanci, qui abbiamo un tubo recuperato l’anno scorso, e lì dentro, oltre ad armi e cibo, c’erano i giornali, c’erano i giornali britannici, anche americani, e Gustavo analizzava molte volte prima di personaggi anche di spicco del Partito d’Azione di Torino quello che accadeva nel mondo e lo scriveva subito sul Pioniere. Lui ha bruciato altri giornali su questo aspetto, quindi ben poteva vantarsene.

Oltre a questo Gustavo ha un altro merito a cui vorrei accennare brevemente: ha saputo capire che si poteva far crescere una generazione di ragazzi che giravano intorno a lui durante la Resistenza. Tre commissari politici della V Divisione Giustizia e Libertà sono stati tre ragazzi che hanno lavorato con lui al Pioniere e hanno passato l’estate del 44 alla Barma d’ l’Ours, sotto la Vaccera. Tra un rastrellamento e l’altro componevano, ciclostilavano ma questi ragazzi che erano con Gustavo parlavano con Gustavo, Giulio è l’ultimo vivente che abbiamo e fosse qui sarebbe bello che ci raccontasse lui di persona tutto questo, parlavano con Gustavo e discutevano poi a loro volta tra di loro, leggevano Il Pioniere come veniva fuori… Insomma sono cresciuti nel giro di pochi mesi dei commissari politici.

Quello che invece ad esempio per le forze garibaldine vicine della Val Po è un processo che è avvenuto diversamente, perché la città era così ricca di personaggi che si erano dati da fare politicamente che erano stati mandati ovunque nel Piemonte, anche in Val Po. I commissari politici sono stati loro. Qui sono stati tre ragazzi locali della valle, Fredino Balmas, Medino Modonese Giulio. Insomma Gustavo anche ha avuto questa capacità di seminare e infatti se tante cose le sappiamo del Pioniere le sappiamo grazie a uno dei suoi ragazzi, grazie a Giulio Giordano che tutta la vita ha ricordato che cosa si è fatto in quel periodo e il valore che ha avuto tutto questo.