Mario Giovana (1925-2009), già partigiano, giornalista e studioso della Resistenza, ha presentato nel 1966 una interessante comunicazione al convegno tenutosi a Milano sugli “Aspetti sociali della Resistenza in Europa” sul tema: Tendenze e aspirazioni sociali nella stampa delle formazioni partigiane.
Andrea Ribet, dell’ANPI di Torre Pellice, ne fa la presentazione.
Qui il saggio integrale di Giovana.

 

La relazione di Giovana è molto accurata. Egli fa una comparazione dettagliata di molte testate clandestine pubblicate nel periodo della Resistenza e subito dopo la Liberazione; l’analisi tiene conto sia della dislocazione geografica, coprendo l’arco delle Alpi dal Piemonte alla Lombardia orientale e parte dell’Italia centrale, sia le diverse tendenze politiche e istanze ideali che emergono dai singoli testi.

Nella prima parte della comunicazione l’Autore fa emergere alcuni elementi comuni nel variegato mondo della Resistenza che egli desume dalla lettura della stampa delle varie formazioni. La presenza massiccia di giovani, dovuta principalmente ai bandi di reclutamento della Repubblica si Salò, alla difficoltà di nascondersi e alla predisposizione d’animo e fisico, è la struttura portante delle formazioni partigiane. Si può far risalire il loro patrimonio culturale di base agli ideali del Risorgimento, genericamente sintetizzato nella formula “appello alla libertà dallo straniero e dal tiranno interno”. Agli inizi delle formazioni partigiane non si nota una spiccata percezione della situazione in atto: c’è tuttavia una fondata consapevolezza del valore politico ideale della lotta contro le insofferenze verso il regime fascista, un desiderio di trovare una dignità e punire il tradimento subito. Trasversale a tutte le formazioni in questa fase è una certa diffidenza nei confronti dei partiti politici.

Ciononostante, la necessità di non limitarsi alla pubblicazione dei semplici fatti locali è sempre presente; emerge l’esigenza di una maggiore riflessione politica. La presenza di commissari politici presso le bande partigiane, quella di esponenti militari di gradi superiori e di intellettuali contribuisce alla elaborazione del pensiero politico in modo più manifesto e aperto.

In particolare nelle formazioni partigiane Garibaldine si fa sentire in modo predominante e unitario il collegamento con il Partito Comunista Italiano. Le strategie del PCI sembrano abbastanza ben delineate in questi fogli: viene prevalendo una visione di democrazia progressiva che in qualche modo abbandona l’idea di rivoluzione di classe del proletariato: si ricercano piuttosto alleanze con altre formazioni democratiche, con le quali porre le basi per la ricostruzione futura nel dopo guerra. In politica estera prevale la scelta filo Unione Sovietica, sebbene la visione internazionalistica venga descritta piuttosto come fratellanza tra i popoli chiamati a collaborare per un futuro di pace.

Diverso è l’approccio che si riscontra nei giornali clandestini afferenti alle formazioni partigiane Giustizia e Libertà legate al Partito d’Azione. Minore sembra l’influenza da parte della dirigenza del partito, anche perché la sua ideologia politica non è così strutturata come per il partito comunista. In evidenza c’è il concetto di rivoluzione democratica come modello di organizzazione decentrata dello Stato, con un apparato di garanzie giuridiche, articolazione dei poteri, partecipazione dei cittadini al governo di una democrazia parlamentare, respiro federalista, abbandono della monarchia.

Tra i vari titoli, perlopiù del Piemonte, Giovana fa una particolare menzione a Il Pioniere, giornale della V Divisione GL operante nelle valli del Pinerolese. Ne sottolinea la qualità giornalistica, la struttura, la periodicità e la longevità. Ricalca l’impostazione generale del Partito d’azione, grazie anche alla vicinanza e gli stretti contatti al suo gruppo dirigente. Aspetti peculiari riguardano la concezione federalista dal basso, con una precisa volontà di autodeterminazione delle popolazioni locali, tema ripreso nella Carta di Chivasso sull’autonomia delle popolazioni alpine e le minoranze linguistiche. Ampio spazio viene dato al tema del federalismo tra gli Stati come soluzione per superare i conflitti insorti con la nascita dello stato nazione.

Diverso taglio hanno i giornali del Cuneese, dove la persona più autorevole è Tancredi Galimberti, il quale è portatore di una visone mazziniana della lotta di liberazione e sostenitore delle tradizioni piemontesi di lealtà e di lotta nei confronti del capitalismo monopolistico e dei proprietari fondiari, a sostegno delle popolazioni contadine e operaie.

Passando alle produzioni di formazioni autonome sembra non emergere nulla di particolarmente significativo dal punto di vista della riflessione politica e sociale.

L’autore fa menzione tuttavia alle formazioni Matteotti, legate perlopiù al Partito Socialista; ricorda in particolare il giornale Il Partigiano, che rappresenta una voce polemica nei confronti delle scelte di indirizzo del CNL nazionale, denunciando un certo pessimismo sui rigurgiti (che investiranno tutti i partiti al termine della lotta armata), con la progressiva riemersione dei vecchi interessi presenti nella società borghese, indebolendo le istanze di rinnovamento maturate durante i 20 mesi della Resistenza.

Infine l’autore dedica l’ultima parte ad un’esperienza un po’ particolare, quella delle formazioni partigiane Fiamme Verdi attive nel bresciano con il giornale Il Ribelle. Si tratta di un giornale di matrice cattolica, gruppi di laici ed ecclesiastici cattolici che però non si ritrovano nelle scelte del partito cattolico Democrazia Cristiana. L’impostazione generale è di natura più moralistica che politica.

Nelle riflessioni conclusive, Giovana constata l’importanza della stagione resistenziale come momento di grande vitalità, spontaneità, desiderio di superare l’esperienza buia del ventennio fascista e la volontà di ritrovare nuove forme di convivenza civile e nuova dignità. In vari modi queste aspirazioni vengono manifestate da tutte le componenti che partecipano alla lotta di liberazione.