Il potere della stampa in clandestinità
di Emmanuela Banfo*
*Emmanuela Banfo, è giornalista professionista, capo servizio ANSA, Presidente del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, impegnata sui temi della deontologia professionale, dei diritti doveri dell’informazione e della tutela dell’infanzia.
Testo della conferenza tenuta a Torre Pellice il 18 ottobre 2025 nell’ambito della mostra “Noi scriviam la nuova storia”
(Trascritto da TurboScribe.ai revisionato da anpivalpellice.it)
Grazie, sono onorata del vostro invito. Mi è stato anche utile ritornare su queste pagine di storia e fare un focus sulla stampa clandestina, sul giornalismo di quegli anni, a partire dagli anni Venti quando in Italia c’era una realtà della stampa, del giornalismo molto ricca, molto vivace.
Tenete presente che negli anni Venti, Trenta, si leggeva molto di più i quotidiani giornali di quello che avviene oggi. Questo lo dico anche perché, come tutti sapete, Mussolini era un giornalista, lui era il direttore dell’Avanti!, ed era anche un bravo giornalista, non era un giornalista da poco. Diciamo che in qualche maniera lui a modo suo ha continuato per tutto il periodo della dittatura fascista e anche durante la Repubblica di Salò ad avere un’attenzione particolare verso il mondo del giornalismo anche perché appunto nelle sue vene correva questo sangue giornalistico.
Lui non voleva eliminare i giornali, lui voleva assoggettare i giornali e diciamo che in tutto il periodo, il primo periodo, fino al delitto Matteotti, lui verso i giornali ha un atteggiamento diciamo così più aperto, dialettico. Anche le leggi fascistissime sulla stampa che entreranno in vigore nel 1924, con un decreto erano già pronte due o tre anni prima, però lui si rendeva perfettamente conto…
Vedete, qui ci sono le prime avvisaglie, nel 1922-1923: ecco che vengono colpite le redazioni dei giornali, l’Epoca, il Paese, la Voce Repubblicana, l’Ordine Nuovo, la devastazione del 18 dicembre del 1922, gli squadristi che incendiano la Camera del Lavoro…
Ecco, nel 1923 il governo annuncia questo Regio Decreto, che [anticipa] quello che due anni dopo entrerà in vigore e praticamente sancisce la fine della libertà di stampa perché dà ai prefetti la facoltà di chiudere i giornali, dà la facoltà per motivi di ordine pubblico. E lì sarà veramente la fine.
Però come vi dicevo il processo di fascistizzazione della stampa è un processo lungo, perché vi dicevo egli si rende perfettamente conto che i giornali hanno un grande potere su opinione pubblica. E’ un discorso tutt’ora attuale, avere in mano i mezzi di comunicazione significa avere in mano l’opinione pubblica e quindi dà la possibilità di manipolare l’opinione pubblica, di orientarla, e questo lui lo sapeva.
C’erano in particolare due testate che erano molto influenti, erano il Corriere della Sera, con direttore Albertini, e La Stampa, con direttore Frassati. Il Corriere della Sera in particolare, ma anche La Stampa e la Gazzetta del Popolo, esercitava un’influenza sull’opinione pubblica molto forte.
Questo processo di fascistizzazione sarà molto graduale e dove andrà ad incidere? Sugli assetti societari, perché quando ancora oggi, ricordiamocelo questo, si parla di libertà di stampa, si deve sempre stare attenti: chi sono i padroni? Chi sono gli editori? Perché è lì che c’è il cuore pulsante di un giornale. I giornalisti e la redazione hanno una possibilità di manovra che tutto sommato è molto limitata. Quando si parla di concentrazione delle proprietà, degli editori, quello significa un limite grosso alla libertà di stampa.
Quindi cosa fa il fascismo? Piano piano va a incidere sugli assetti societari e chi erano i padroni del Corriere della Sera e della Stampa? Il Corriere della Sera aveva nel suo assetto societario Albertini stesso e la famiglia Crespi, La Stampa invece era fino ad allora in maggioranza proprietà della famiglia Frassati.
Quando si arrivò al Regio Decreto La Stampa di Frassati e il Corriere della Sera di Albertini protestano, ma tutti gli altri giornali in prevalenza minimizzano. Quando si dice il mondo del giornalismo non reagì, non è vero, il mondo del giornalismo reagì, tant’è vero che la Federazione Nazionale della Stampa prima che Mussolini la eliminasse, quella che ancora esce adesso è la FNSI la Federazione Nazionale della Stampa italiana, reagì contro le misure di Mussolini.
Vedete, nel 1922 il censimento del partito fascista registra 5 quotidiani già fiancheggiatori: Il Popolo d’Italia, Il Popolo di Trieste, Cremona Nuova, la Voce di Mantova e Istria Nuova che si erano già schierati a favore di Mussolini.
Comunque dicevo che cosa succede? Succede che piano piano dopo il delitto Matteotti come dire… Mussolini e il fascismo escono decisamente allo scoperto. Dopo il delitto Matteotti il volto dittatoriale del fascismo viene completamente smascherato e a quel punto le due grandi testate nazionali, il Corriere della Sera e La Stampa, si trovano decisamente in difficoltà.
Albertini in poche parole viene costretto ad andarsene, le sue azioni vanno in mano della famiglia Crespi e la famiglia Crespi è decisamente fiancheggiatrice di Mussolini. Lo stesso succede alla Stampa: alla Stampa entra la famiglia Agnelli e Frassati è costretto ad andarsene, e a quel punto anche La Stampa prende decisamente posizione a favore del fascismo.
Quindi pensate, visto che è stato citato mio nonno quando il 18 aprile del 1945 a Torino mio nonno e suo genero, mio zio, vennero prelevati in casa dalle squadre fasciste e l’indomani vennero trovati uccisi, entrambi i corpi vennero lasciati sul corso Giulio Cesare abbandonati: La Stampa l’indomani mattina uscì con un articolo in cui si attribuiva la responsabilità ai comunisti, perché si trattava di fuoco amico, di un attentato che era stato orchestrato dagli stessi comunisti, mio nonno era appunto comunista. Per dirvi.., La Stampa prese decisamente posizione a favore di Mussolini.
E quindi qui inizia veramente, dopo il delitto Matteotti abbiamo la svolta.
Quando vi dicevo la grande influenza..: il Corriere della Sera è passato da 450 mila copie a 800 mila, sono delle cifre da capogiro se paragonate a quelle di oggi; Il Mondo di Amendola arriva a 110 mila coppie l’Avanti! 71.500, l’Unità 34 mila, il Lavoro 150 mila. Sono delle cifre che oggi proprio non esistono: il Corriere della Sera 150-200 mila copie, un massacro…
Allora si leggeva molto, non c’era ancora la televisione vedremo che invece c’erano le radio, e le radio anche loro insieme alla stampa clandestina svolgeranno un grosso lavoro, anche di collegamento tra le bande partigiane, un grande lavoro di contatti con l’estero, con le formazioni antifasciste in Francia eccetera.
Quindi delitto Matteotti la svolta. Andiamo oltre.
La stampa reagisce e inizia la dittatura: il 10 luglio del 1924 è pubblicato il Regio Decreto; si costituisce a Roma il Comitato per la difesa della libertà di stampa; a Palermo si tiene l’ultimo congresso della Federazione Nazionale della Stampa. Vedete, quando si dice che la categoria reagisce..: ecco, con 71 voti a favore e due contrari e un astenuto approva un ordine del giorno contro la nuova legislazione sulla stampa. E poi nel 1925 il famoso discorso che dà proprio formalmente il via alla dittatura fascista: Mussolini decreta lo scioglimento dei partiti d’opposizione e la soppressione di tutti i giornali che sono avversi al fascismo.
Vi ho già accennato ai casi del Corriere della Sera e della Stampa, quando nel 1925, questo è anche significativo della grande influenza della Corriere della Sera, quando Albertini viene costretto a dimettersi. All’estero se ne parla molto tant’è che a Londra il Times gli dedica appunto un editoriale.
Nel 1925 chiudono Giustizia, La Rivoluzione Liberale di Gobetti, Il Popolo. Nel 1926 la sospensione di tutti i giornali d’opposizione per motivi di ordine pubblico: è chiaramente una scusa. E si arriva quindi ai giornali nella clandestinità.
Di solito gli storici distinguono la stampa partigiana e la stampa politica.
La stampa partigiana è quella legata alle formazioni partigiane, ha un carattere un linguaggio molto più semplice, schemi retorici, un po’ ripetitivi.., perché poi la cultura è quella, a scuola che cosa ci insegnano? Quindi ci sono molti riferimenti al Risorgimento, il tipo di linguaggio è quello, è un tipo di stampa che soprattutto serviva a tenere il collegamento tra le varie formazioni; poi ad esempio metteva in primo piano la commemorazione dei compagni caduti, le perdite subite dai nazifascisti…
La stampa politica invece… Tutti i partiti che entrano nella clandestinità avevano il loro organo di partito, il loro giornale, e qui c’è un respiro un po’ più ampio nel senso che si apre anche un dibattito sul dopo fascismo, su quella che deve essere l’Italia del futuro.
Ho visto il vostro lavoro, la vostra mostra che mette in rilievo il dibattito sul federalismo, su quella che deve essere l’Italia nuova… [La stampa politica] ha un altro spessore, ha un altro meccanismo: il dibattito sull’assetto istituzionale dopo la caduta del fascismo si apre all’interno di queste testate. Non Mollare, ne parlate a lungo: Non Mollare e apre la strada alla clandestinità, fu il primo esperimento di giornalismo clandestino. Qui abbiamo dei grossi nomi, Salvemini, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli… Poi i Quaderni di Giustizia e Libertà, Il Quarto Stato, l’Avanti!, L’Avvenire del Lavoratore, l’Unità, l’Unità che continuerà appunto a pubblicare da Parigi…
[…] Da una parte abbiamo negli anni Trenta tutta questa stampa clandestina vastissima, articolata, ricchissima sia quella appunto legata poi ai partigiani che quella invece più politica. Cosa fanno però le grandi testate, come si comportano? Come avevo detto, si comportano appunto adeguandosi a quel tipo di omologazione che richiedeva il fascismo. Questa è l’epoca… Pensate che Mussolini si occupava personalmente ogni giorno di tempestare le redazioni dei giornali con quelle che si chiamavano le linee, dove appunto lui indicava la scaletta che i giornali dovevano seguire, dare più importanza a certe notizie anziché altre. Sapete benissimo che Mussolini non gradiva che si parlasse troppo di cronaca nera perché evidentemente sotto il fascismo tutto andava bene, per cui appunto dava delle indicazioni su cosa scrivere. Non si doveva neanche scrivere del compleanno di Mussolini, era un uomo senza età, eternamente giovane per il quale gli anni non dovevano passare. Si dava un’indicazione anche delle fotografie che si dovevano pubblicare, l’abbiamo visti tutti attraverso i giornali, questo Mussolini a torso nudo, questo Mussolini sempre appunto giovane.
Ogni giorno arrivavano queste linee, aveva messo in piedi un ufficio stampa al capo del quale aveva messo Galeazzo Ciano. Galeazzo Ciano era appunto l’addetto stampa che doveva controllare tutte le redazioni e quello che nelle redazioni si doveva o non doveva scrivere. Quindi era una vitaccia per quelli che non erano in clandestinità; [quelli che erano in clandestinità] tutto sommato avevano più libertà di scrivere rispetto agli altri, che invece erano costretti a omologarsi al dictat di Mussolini.
E’ il periodo in cui si sviluppa l’agenzia di stampa, la Stefani, quella che poi diventa l’ANSA. La Stefani non nasce con Mussolini la Stefani nasce con Cavour, perché Cavour è stato un altro di quegli uomini politici che capì l’importanza dei mezzi di comunicazione, capì quanto i mezzi di comunicazione fossero importanti e a volte decisivi. Se vi prendete la briga di andare in emeroteca a vedere i giornali della seconda metà dell’Ottocento vi rendete conto appunto di come la linea politica di Cavour passa attraverso i giornali, per convince [ad esempio] l’opinione pubblica dell’importanza della guerra di Crimea che poi negli anni successivi si capì che aveva un’unica funzione, che era quella di far sedere Cavour ai trattati di pace, non ne aveva nessun’altra.
Cavour fece nascere l’agenzia, era proprio un’agenzia di Stato. Mussolini potenziò enormemente la Stefani che era proprio il suo organo di stampa, tant’è che il direttore Manlio Morgagni con la caduta del fascismo si uccise, si tolse la vita.
La Stefani poi chiuse e dalle ceneri della Stefani nasce l’ANSA. Nasce come cooperativa di giornali […].
Gli anni trenta sono stati anni fondamentali per la crescita del giornalismo in tutta Europa e in particolare in Italia, in Francia e in Italia. per lo sviluppo della tecnologia. Gli anni trenta furono anni di grande innovazione nascono i rotocalchi, nascono molti settimanali, molti giornali… C’è veramente un’effervescenza del giornalismo in quegli anni e in qualche maniera anche lo sviluppo tecnologico consentì al giornalismo di trovare delle sue strade. Si sviluppa la terza pagina, molti intellettuali, scrittori, grandi firme della cultura italiana scrivono per le terze pagine dei giornali. Si aprono piano piano delle finestre che in apparenza non sono politiche, che in apparenza sono innocue ma che in realtà cominciano a far sviluppare un pensiero, una coscienza critica che sottotraccia in ogni caso si fa strada.
Teniamo presente la modernizzazione tecnico-editoriale, rotative più veloci,, nasce il giornale del lunedì, quasi tutto sportivo, i notiziari, l’innovazione, l’impaginazione orizzontale nasce negli anni trenta prima l’impaginazione era in verticale, si dà un spazio allo sport e si incrementano gli organici nazionali.
[Tutto questo] andrà anche un po’ contro il regime, questo ve l’ho già detto…
Mandrake e Topolino, che venivano da oltreoceano e quindi non piacevano molto a Mussolini, tant’è vero che nel 1936 il regime vieta l’importazione di materiale straniero che era inevitabile, pensiamo ai personaggi di Mandrake, di Flash Gordon… Il giornalismo a fumetti ogni settimana vende in Italia un milione e seicentomila copie.Effettivamente c’era un grande sviluppo di tutta la stampa in tutte le sue varietà ora, e anche la stampa clandestina insieme alla stampa non clandestina fa la sua strada. Molti giornalisti e giornaliste che ebbero nell’Italia liberata, nell’Italia del dopoguerra un ruolo importante, nascono nella clandestinità, cioè la stampa clandestina è stata anche una scuola di giornalismo.
Molti di questi, Oriana Fallaci, Ada Prospero Gobetti, Sandro Pertini, Sergio Lepri, Giorgio Bocca, Enzo Biagi, sono tutti, soltanto alcuni, sono tutti giornalisti che sono nati nella stampa clandestina. Cioè la stampa clandestina è anche stata una cucina di talenti giornalistici che si sono appunto poi sviluppati nel tempo e qui mi piace anche leggere alcune cose molto interessanti per come è appunto la stampa clandestina, la stampa nella clandestinità.
Ecco, Oriana Fallaci per esempio, no? Sappiamo che da Oriana Fallaci che nel luglio del 1943 suo padre entra nella Resistenza. Il padre di Oriana Fallaci entra nella Resistenza e si trascina dietro sua figlia che arriva appena a 14 anni, e lei racconta che con la sua bicicletta e il nome di battaglia in Bibbia ha accompagnato il padre in diverse operazioni, fece la staffetta, consegnando le armi, consegnando i giornali clandestini, i messaggi, E Oriana Fallaci racconterà proprio come quel periodo fu un periodo che le insegnò molto su come fare il giornalismo, il suo modo di fare il giornalismo che è stato un modo di fare il giornalismo che ha rappresentato una rottura, no?
Noi nelle nostre scuole di giornalismo mettiamo sempre a confronto Indro Montanelli e Oriana Fallaci. Oriana Fallaci aveva un modo di fare il giornalismo che lei racconta esserle venuto, aver preso in ‘eredità proprio in quel periodo, cioè era un tipo di giornalismo che dava importanza alle emozioni. Lei non era estranea a quello che scriveva, lei partecipava a quello che scriveva e questo era un tratto, un tratto peculiare della stampa, della stampa clandestina in quell’epoca, no? Era inevitabile, era inevitabile che appunto la descrizione di certi eventi, la descrizione anche di certi scontri doveva comunicare la partecipazione emotiva. E questo si era portato indietro in qualche modo, la partecipazione emotiva che fino ad allora nel giornalismo canonico, nella scuola di giornalismo canonico era bandito, cioè tu giornalista dovevi essere un corpo estraneo rispetto a quello che scrivevi.
Ada Gobetti.., Ada Gobetti la conosciamo tutti, no? Ada Gobetti comincia giovanissima, insieme al suo giovanissimo fidanzato, insieme al suo giovanissimo marito a collaborare, pensiamo al Baretti, pensiamo a Energie Nuove, pensiamo alla Rivoluzione Liberale. E poi Ada Gobetti è stata anche una scrittrice. Ada Gobetti ha partecipato alla Resistenza, ma poi continuò negli anni fino alla morte, nel 1968, continuò a lavorare: l’Unità, Paese Sera, Noi Donne, fondò Il Giornale dei Genitori.., quindi ebbe poi un curriculum giornalistico molto proficuo anche dopo.
Isotta Gaeta, Isotta Gaeta è stata una staffetta partigiana di una brigata Garibaldi e lei anche si avvicina al giornalismo attraverso la lotta partigiana. E racconta anche lei che quando usava la Olivetti, la vecchia Olivetti per battere i volantini, per scrivere i volantini, poi gli appenlli coi messaggi che doveva portare alla popolazione. Poi lei collaborerà anche alle riviste femminili, Noi Donne, negli anni 80 diventò anche un reporter per il Corriere della Sera, nel 1992 dirige la Rete italiana delle giornaliste europee, da Isotta Gaeta.
Anna Rosa Gallesio. Anna Rosa Gallesio per conto della Democrazia Cristiana faceva parte dei gruppi clandestini per la difesa delle donne. Lei esercitava già la professione di giornalistica già appunto in clandestinità. E distribuiva, a Torino e nella provincia di Torino, era responsabile della distribuzione della stampa clandestina. Lei racconta anche che organizzò una piccola base segreta di donne che aiutavano la Resistenza. Distribuivano la stampa clandestina, aiutavano i perseguitati, faceva parte dei gruppi di difesa delle donne, a cui partecipavano tutte le correnti politiche antifasciste.
Gabriella Poli. Gabriella Poli è importante perché fu la prima capocronista in Italia, la prima capocronista in Italia di un grosso quotidiano nazionale che era La Stampa. Ebbene, Gabriella Poli aveva collaborato alla stampa clandestina durante la Resistenza, è stata una staffetta partigiana. Fu la prima donna in assoluto a essere assunta alla Stampa e come dicevo, la prima capocronista.
Poi abbiamo invece Giorgio Bocca. Giorgio Bonca lo diceva sempre, non fossi entrato nella Resistenza probabilmente non avrei mai fatto il giornalista. Lui lo diceva esplicitamente questo, cioè che fu proprio l’esperienza della Resistenza che lo portò a fare il giornalista, alla consapevolezza di quanto la parola, di quanto l’informazione possa svolgere un ruolo fondamentale. Lui lo dice a un certo punto in uno dei suoi scritti, tutto nasce da lì, per me la Resistenza è stata come l’università, se non ci fosse stata la guerra partigiana forse sarei diventato uno sciatore, ero uno sportivo. Invece c’è stata la resistenza e sono diventato giornalista. Alla fine della guerra partigiana sono andato a lavorare al giornale Giustizia e Libertà… Tutta la mia vita nasce dalla guerra partigiana. La mia spinta non era tanto il desiderio di voler informare bensì quello di conoscere. Il giornalismo è una professione che ti permette di conoscere da vicino le cose che ti circondano. Per me la curiosità è una molla importantissima.
E che dire di Sandro Pertini? Di Sandro Pertini, il giornalismo di Sandro Pertini. Nasce a Stella non lontano da Savona, mio marito che per lungo tempo ha lavorato al Lavoro di Genova lo conosceva perché lui ha continuato a frequentare Il Lavoro, di cui fu appunto direttore dal 1947.
Lui in realtà da giovane voleva fare il radiooperatore, lavorare alla radio. E difatti lavorò a una radio, era una radio clandestina che aveva messo in piedi in un paesino vicino a Nizza, dove appunto scappò e raggiunse appunto questo paesino vicino a Nizza, ed in modo molto rudimentale costruì questa radio e con questa radio teneva i collegamenti tra i fuoriusciti che si trovavano già in Francia e quelli italiani. E questa radio si trovava in una villetta che appunto era situata nei pressi di Nizza e lui era un aspirante speaker radiofonico. E’ molto divertente quello che si legge in un documento del Ministro dell’Interno dell’11 ottobre 1928.
“Questo Pertini emetteva delle notizie sulla situazione dei fuorusciti in Francia e riceveva notizie sulla situazione degli antifascisti ancora residenti in Italia, notizie che poi trasmetteva alla concentrazione antifascista di Parigi che giudicava se pubblicarle sui giornali antifascisti o meno. La stazione che era nascosta in una villa ad Eze, villa chiamata ‘Rifugio Mati’ [ma che invece fra gli antifascisti era nota come ‘Caprera’ o come ‘Matteotti’, ndr], funzionava dal maggio scorso ed era sempre il Pertini che faceva da operatore, aiutato di tanto in tanto dallo scrittore antifascista Montasini che risiede quasi sempre a Nizza”.
L’hanno scoperto e l’hanno arrestato ovviamente.
Ma c’è anche un altro personaggio che si chiama Ugo Stille. Ugo Stille è stato il direttore del Corriere della Sera, grande corrispondente dagli Stati Uniti e poi direttore. Lavorò anche lui in radio.
Vedremo anche più avanti la grande importanza che ebbero le radio clandestine, c’è un’epoca che si chiama guerra delle onde perché ci fu un fiorire di radio clandestine, radio della Repubblica di Salò, radio degli alleati. Quando parlo di alleati non pensiate che Badoglio e gli alleati concessero maggiore libertà di stampa, niente affatto. In realtà la libertà di stampa aveva ancora un bel tratto da percorrere.
Stille era il sergente Kamenetzky, lavorava per gli alleati e gestiva una radio clandestina. Gianni Riotta, nota firma della Stampa, anni fa ha raccolto una serie di testimonianze di coloro che lavorarono con Stille in quel periodo. “Eravamo ragazzi – racconta uno dei suoi redattori di allora – e capimmo cosa fosse la democrazia vedendo il sergente Kamenetzky ricevere un colonnello con i piedi sul tavolo. Ci fece un discorso sul giornalismo: ripetete il soggetto per favore, ripetetelo sempre, siamo alla radio, siate sempre semplici e chiari. Un giorno mi chiamò – questo è molto importante – rifà subito il bollettino, riscrivilo, non c’è dentro nessuna sconfitta alleata, nessuna cattiva notizia per noi. Se non siamo oggettivi, chi vuol che ci creda?”
E questa è una grande questione di giornalismo.
[…] In quel periodo nasce un giornalismo che poi si svilupperà negli anni successivi, un giornalismo indipendente, un giornalismo che non ha paura di dire la verità anche quando in qualche modo ti danneggia.
Ma ancora di più volevo leggere una testimonianza di Sergio Lepri.
Sergio Lepri è un grande maestro di giornalismo. Sergio Lepri è quello che ha fatto grande l’Ansa, negli anni Sessanta Sergio Lepri rimise di piedi l’Ansa. L’Ansa divenne grande proprio grazie a lui. Volevo appunto leggervi una sua testimonianza su quel periodo. Chissà se la trovo […]
“Tanti giovani videro allora nel giornalismo uno strumento di liberazione culturale e di conquista democratica.
Ricordo il suono, che allora per me era un suono musicale, tra, tra, tra, tra, tra, della piccola macchina tipografica che stampava il giornale L’Opinione, quella testata che era stata di Camillo Cavour nella prima metà dell’Ottocento e che ora era la testata dei giornali clandestini del Partito liberale, il partito che allora aveva come presidente il mio maestro Benedetto Croce.
I giornali si stampavano in una piccola tipografia artigiana, stavamo in Firenze. La macchina era una macchina piana, bisognava scrivere a lume di candela e comporre a lume di candela. Ma il problema non era di scrivere e di stampare il giornalino, il problema era distribuirlo.
Avevamo dei ragazzi e delle ragazze attorno ai 15-16 anni, portavano una grossa borsa di stoffa a tracolla. Ci mettevano dentro i giornali, poi entravamo nei portoni delle case e infilavano i giornali nella cassetta delle lettere.
Perché siamo diventati giornalisti? Quasi tutti avevamo una professione e avevamo fatto nella vita ben altri progetti, ma con la fine del fascismo e del nazismo, con il ritorno difficile della libertà, pensavamo che il giornalismo, al di là delle sue finalità istituzionali, era un modo per consolidare la appena rinata democrazia e i risorgenti istituti democratici, un modo per contribuire alla crescita civile della società.
Il giornalismo come un servizio da rendere alla comunità. Questo concetto del giornalismo come servizio da rendere alla comunità nasce allora, nasce durante la clandestinità, durante la Resistenza. Nasce un giornalismo completamente nuovo rispetto a quello che era stato fino ad allora.
Era ed è anche un potere il giornalismo? Sì, è un potere. Ma soltanto nella misura in cui si fa portavoce dell’unico legittimo detentore del potere che è il cittadino.”
E questa è appunto l’epoca, questo giornalismo e questi giornalisti si sono formati allora.
Io ho preparato poi delle slide su appunto la guerra delle onde. Questa guerra delle onde, cioè delle radio clandestine, iniziò con la guerra di Spagna e poi si sviluppò appunto in seguito durante la Seconda Guerra Mondiale. Le radio clandestine si contrappongono all’Eiar con il suo Giornale Radio che dal 1936 conta sei edizioni quotidiane. È tanto per quel periodo. E il più seguito è quello delle 13 con il Bollettino. Nascono Radio Londra, Radio Mosca con i loro messaggi cifrati. La lettura dei messaggi operativi diretti ai movimenti resistenziali erano destinati a coloro che ascoltavano appunto dalla radio inglese le parole d’ordine per le operazioni militari.
E qui è anche molto interessante leggere le testimonianze di coloro che lavoravano in queste radio perché questi messaggi cifrati bisognava stare molto attenti perché si potevano dare anche delle indicazioni sbagliate. Era estremamente importante il momento della divulgazione, c’erano delle vere e proprie redazioni che erano attente a questi messaggi cifrati.
Le radio clandestine si costruivano anche in modo molto rudimentale addirittura dei lager, nei campi di concentramento. Io ve ne ho citate soltanto alcune, Radio Caterina, Radio Zumba… Vedete, erano proprio costruite nei campi di concentramento in modo molto rudimentale.
Molte donne che lavoravano in queste radio, le donne lavoravano molto come operatrici delle radio che si occupavano della trasmissione e della recezione di questi messaggi codificati. Ve ne ho citate anche alcune molto famose che lavoravano in queste radio clandestine. Una tra tutte è la Tina Anselmi che lavorò molto in una di queste radio.
Io, se siete d’accordo, mi fermerei qui per lasciare spazio alle domande.


