Vittorio Fontana
Intervento al convegno “1945-2025, 80 anni: Memorie della Liberazione a Villafranca Piemonte”, Villafranca Piemonte 13 settembre 2025.

(Trascritto da TurboScribe.ai. revisionato da anpivalpellice.it)

Buongiorno, grazie per l’invito che mi dà l’opportunità di parlare dell’esperienza e del contributo alla lotta partigiana di mio padre, il dottor Maurizio Fontana.

Mio padre, Maurizio Fontana, nacque proprio qui a Villafranca il 20 febbraio del 1916 ed era conosciuto ai villafranchesi con il nome di Migni.

Si laureò in medicina presso l’università di Torino, ma quasi subito, appena laureato, la dittatura fascista lo spedì insieme a suo fratello Luigi, conosciuto qui a Villafranca come Gino, nella campagna contro la Russia e ebbe il ruolo di ufficiale di complemento, cioè sottotenente medico nella Divisione “Tridentina” degli Alpini.

L’esperienza della Russia fu un’esperienza veramente drammatica, tremenda e segnò per sempre la sua vita. Infatti, aveva visto molti compagni morire, aveva visto che i soldati tedeschi disprezzavano gli italiani, anche i medici equipaggiati, e incominciò a capire l’ingannevole retorica bellicista, nonostante fosse mascherata da patriottismo, del fascismo.

Durante la ritirata di Nikolajewka in Russia, i due fratelli Luigi e Maurizio si persero di vista. Il fratello Luigi subì un gravissimo congelamento e ci rimise i piedi. Mio padre, Maurizio ebbe anche lui un principio di congelamento ed infatti fu trasportato in un treno ospedale e rimpatriato.

Una volta in patria fu ricoverato presso l’ospedale Principe di Piemonte di Milano; guarì, e dovette riprendere servizio all’ospedale militare di Verona. Ma venne l’8 settembre, e nello sbandamento generale dell’esercito italiano privo di direttiva e privo di ordini, i tedeschi catturavano i soldati italiani. Anche mio padre fu catturato, però riuscì a fuggire e si ricongiunse ad un reparto italiano.

Questa fuga fu senz’altro pericolosa perché avvenne in bicicletta attraversando una zona dove dilagavano le truppe tedesche. Pur ottantenne e di poche parole mio padre ricordava quel senso di avventura che gli aveva permesso di ritornare alla libertà e infatti tornò a casa a Villafranca. Ma intanto la situazione dell’Italia era cambiata.

L’Italia era stata invasa da due eserciti, quello tedesco a nord e quello anglo-americano a sud, ed era divisa in due. A sud c’era la monarchia del re e di Badoglio, a nord, dopo la cattura di Mussolini, era ritornato il fascismo con un volto ancora più feroce, cioè quello della Repubblica di Salò. Ebbene mio padre si sarebbe dovuto arruolare nella Repubblica di Salò, però per tutto quello che aveva visto e subito durante la guerra, rifiutò di aderire, ma non si nascose neanche in casa, come avrebbe potuto fare, e decise di entrare nelle formazioni partigiane.

Nella zona di Villafranca c’erano le Brigate Garibaldi, entrò tra i partigiani della Brigata Garibaldi e gli fu affidato il ruolo di capo servizio sanitario.

Precisamente dal 10 febbraio del 1944 fino all’8 giugno del 1945 mio padre dottor Maurizio Fontana, sarà il partigiano Michele.

Uno degli episodi della sua vita di partigiano che mio padre ricordava di più, proprio nei dintorni di Villafranca, è stato il contributo che lui ha dato all’operazione di salvataggio e cura di Petralia, il comandante della sua divisione, I Divisione d’assalto “Leo Lanfranco”.

Petralia era il nome di battaglia di Vincenzo Modica che di origine siciliana era venuto in Piemonte a fare l’ufficiale di cavalleria a Pinerolo, ma poi entrò tra i partigiani e divenne niente meno che il luogotenente, il vice di Pompeo Colajanni, il famoso Barbato ricordato già prima, che era il comandante di tutte le brigate Garibaldi nella valle del Po.

Petralia era famoso per i suoi audaci assalti e difatti venne gravemente ferito in un rastrellamento fascista nel dicembre del 1944, ma i suoi partigiani riuscirono a portarlo in salvo presso il santuario di Cantogno, retto da Don Bartolomeo Stobbia, però il dottor Fontana, che adesso chiamano Michele, decise di trasferirlo nella più sicura casa di Villafranca della signora Luigetta Bollati e successivamente in un cascinale a Cavour della famiglia Rivoira.

Siamo appunto nel gennaio del 1945 e sono le ore decisive e sono richiesti dal quartiere generale dei comandanti particolarmente capaci, qual era Petralia.

Nella notte tra il 3 e 4 aprile del 1945 Michele insieme al comandante Milan trasporta Petralia seduto sul tubo della bicicletta di mio padre da Cavour a una cappella vicino a Villafranca, dove arriverà il camion che porterà Petralia al quartiere generale di Castelnuovo Don Bosco. Lì appunto a Castelnuovo Don Bosco, Petralia che non è ancora completamente ristabilito, si assumerà l’incarico di preparare l’attacco su Torino del 25-26 aprile del 1945.

Mio padre e tanti partigiani avevano abolito le distinzioni partitiche e si erano riuniti nel Corpo dei Volontari della Libertà e dell’Esercito di Liberazione Nazionale.

Anche mio padre fu comandato di trasferirsi nell’Astigiano e qui nell’Astigiano gli si dette l’incarico di direttore dell’ospedale della cittadina, del comune di Viale d’Asti. Durante l’attacco su Torino il partigiano Michele, mio padre, predispose i posti di medicazione lungo la direttrice di marcia che il comando aveva stabilito per prendere possesso del quartiere Ponte della Barca, oggi anche Barca, di Torino. Come attestato anche da documenti dell’ANPI.

Io ricordo da adolescente che quando passavamo nella zona tra Sassi e San Paolo, zona della Barca anche, mio padre diceva con un filo di emozione qui abbiamo piazzato la mitragliatrice.

Poi ritornando al suo servizio sanitario tra i partigiani, abbiamo già sentito che ha collaborato con i fratelli Colombo e nei confronti del professor Cristoforo, mio padre conserverà l’amicizia durata anche dopo la guerra. Poi mio padre soleva ricordare molto la figura della signora Luigetta Bollati di Villafranca, che con grande coraggio nascondeva i partigiani nella sua casa.

Lo stesso comandante Petralia riferì che molti cittadini di Villafranca erano stati generosi nel rispondere alle richieste di accoglimento dei partigiani feriti fatte appunto da mio padre.

E questo dimostra che se la Resistenza è stata fatta, come ha detto il professor Tibaldo prima, da una minoranza, sappiamo circa 220.000 persone, e che c’è stato, come ha detto benissimo lui, molta indifferenza, molto attendismo, molto pensare ai fatti propri, per lo meno qui a Villafranca i partigiani hanno ricevuto il favore e l’aiuto concreto a rischio alla vita di almeno una parte della popolazione civile. Concludendo, la vicenda del partigiano Michele dalla campagna di Russia alla lotta di liberazione può servire a documentare ulteriormente quanto scritto il noto giornalista storico, nonché partigiano, Giorgio Bocca, nella sua Storia dell’Italia partigiana.

“La resistenza nasce dall’incontro tra il vecchio antifascismo politico degli oppositori militanti e il nuovo antifascismo dei giovani, vissuti ed educati nel fascismo, ma ai quali la guerra crudele e fallimentare ha aperto gli occhi e che non sopportano più la dittatura e la sua retorica.”

Ebbene, mio padre è stato proprio uno di questi giovani, e a proposito della sua scelta, soleva dire a me, a mio fratello e a mia sorella: “non ho mai avuto dubbi da quale parte stare.”

Gli altri articoli della serie

4 di 8: I medici partigiani, Cristoforo e Guglielmo Colombo

5 di 8: C. e G. Colombo, La pratica medico chirurgica nella guerra partigiana

6 di 8: P. Pinna Pintor, Testimonianze sulla attività sanitaria nella I Div Garibaldi

7 di 8: P. Groppo, L’organizzazione sanitaria partigiana a Villafranca

8 di 8: M. Pinna Pintor, Procedure mediche con risorse limitate