Il vento della libertà.
Lorenzo Tibaldo
Intervento al convegno “80 anni: memorie della Liberazione”, Villafranca Piemonte 13 settembre 2025.
Trascritto da TurboScribe.ai, revisionato da anpivalpellice.it.
Foto di copertina Monica Canalis.
…Sto pensando di fare una cornice più generale dove si inseriscano poi gli interventi che mi seguiranno. Chiedo scusa se sarò un po’ schematico però gli interventi sono tanti e molto importanti e dobbiamo dare il tempo a tutti.
Vorrei partire dalle difficoltà nelle quali ha operato l’antifascismo e la resistenza e dalle difficoltà che la resistenza ha avuto dopo il 25 aprile del 1945 nel nostro Paese.
Nel 1946 De Gasperi si reca a Parigi per la Conferenza di Pace: noi eravamo un paese che aveva perso la guerra. In quell’occasione De Gasperi cerca in tutti i modi di valorizzare i momenti di resistenza avvenuti in Italia contro il fascismo cercando di dividere la responsabilità del fascismo da quella degli italiani.
L’anno dopo, nel 1947, Luigi Longo, quindi un altro versante dal punto di vista politico e ideologico, pubblica “Un popolo alla macchia”. In questo libro anche lui cerca di avvalorare la tesi che comunque la maggioranza del popolo italiano è stato alla macchia e chiaramente contro il fascismo.
Non è così. Perché se così fosse stato il fascismo non sarebbe durato oltre vent’anni e avremmo forse avuto un’Italia leggermente diversa dopo il 25 aprile.
Il fascismo è andato al potere con un ampio consenso. Non dimentichiamoci che quando nel ‘21-’22 le squadre fasciste hanno devastato l’Italia ciò è stato possibile perché le forze dell’ordine sono state a guardare quando non sono state complici dando appoggio logistico, armi, ai fascisti.
La stessa marcia su Roma, grande simbolo dell’avvento del fascismo al potere, è stato un evento molto simbolico perché comunque le squadre che sono partite dalle varie città potevano essere fermate; e non entriamo nel merito del non intervento della Re…
Perché dico questo? Perché altrimenti non riusciamo a capire cosa è avvenuto in Italia.
Vedete nel 1921 su 535 eletti nel Parlamento 35 erano deputati fascisti.
Nel 1922 il governo Mussolini otterrà la fiducia con 306 sì, 119 no e al Senato 119 sì e 19 no. C’è stato un ampio consenso.
Addirittura nel 1922 verrà approvata la legge dei pieni poteri, la legge che diceva che i decreti-legge del governo venivano automaticamente convertiti in legge. Era affossare il sistema liberale. La legge che col 25% dei suffragi dà la maggioranza assoluta, è passata.
Nel 1923 viene ucciso Don Minzoni. Il Vaticano non dice una parola. Nel 1923 Don Sturzo, segretario del Partito Popolare verrà invitato ad allontanarsi perché non permetteva il colloquio tra il Vaticano e i fascisti.
Perché tutto questo? Perché se non diciamo queste cose non riusciamo a capire il consenso che ha avuto lo fascismo.
Ha avuto un consenso dal punto di vista politico perché in quel momento il sistema politico liberale è stato incapace di affrontare i problemi del dopoguerra e nel contempo c’era uno spauracchio totalmente infondato di una possibile rivoluzione bolscevica, infondato perché non era possibile. E quindi il sistema liberale ha delegato a Mussolini in sostanza di mettere a posto le cose, le proteste sindacali, le proteste dei lavoratori.., con il tentativo poi di istituzionalizzarlo. Così non è stato, è stato al contrario Mussolini che è riuscito ad imporsi.
Quindi il fascismo ha usato la violenza nel suo sistema di potere però non sarebbe andato al potere unicamente con la violenza che aveva esercitato.
E questo ci spiega anche la difficoltà di operare della resistenza. Anche sul piano sociale, dei cittadini, della popolazione c’è stato un consenso.
Guardate, Vittorio Foa nel ‘36, punto di massimo consenso, la campagna di Etiopia, diceva: il consenso con i fascisti si taglia col coltello.
Perché c’è stato consenso? Opportunismo? Convenienza? Paura? Repressione? Sicuramente, perché non è che poi i confinati venivano mandati in vacanza al mare. E chiaramente uno stato totalitario che ha plagiato le coscienze dei giovani che sono cresciuti sotto il fascismo. Una manipolazione delle coscienze.
Dicendo questo comprendiamo le difficoltà che ha avuto l’antifascismo già da quegli anni: era una piccola minoranza, molto isolata e tra l’altro anche divisa al suo interno.
Benedetto Croce diceva: il fascismo è una piccola parentesi, ritorniamo allo stato liberale… I comunisti dicevano: il fascismo è l’espressione del capitalismo, bisogna abbattere il capitalismo e fare la rivoluzione. E’ un’altra strategia politica. E poi c’erano Gobetti e Rosselli che hanno affermato l’autoprofezia della nazione, che per me è stata la lettura più profonda: il fascismo rappresentava tutti i limiti della cultura e della storia italiana, trasformismo, cortigianeria, mancanza del senso di responsabilità… E quindi bisogna fare una riforma profonda, di un popolo, di una nazione.
Fino al ‘23-’24 c’è un’opposizione parlamentare, dopo l’antifascismo andrà all’estero con una Concentrazione antifascista a Parigi; rimarranno in Italia solo i comunisti.
E’ stato difficile in quegli anni portare avanti l’antifascismo. Minoritario, abbastanza isolato.
Il fatto strano è che le stesse forze che hanno favorito l’avvento del fascismo sono le stesse forze che poi gli hanno tolto la fiducia. Perché il 25 luglio, bisogna dirlo, sì ci sono stati gli scioperi operai del marzo, c’è un segnale nella popolazione dovuto alla guerra di disaffezione, di protesta; e chiaramente c’erano anche i nuclei di antifascisti che hanno agito. Però il 25 luglio è avvenuto per problemi di carattere militare.
La sconfitta in Africa El Alamein, e quando Stalingrado ha fermato l‘avanzata tedesca, da quel momento lì si è tentato di avere un fascismo senza Mussolini.
Le folle oceaniche che abbiamo visto sotto il palazzo Venezia: la folla che esulta alla dichiarazione di guerra, ma cosa pensavano quei uomini, quelle donne che mandavano il loro figlio sul fronte a combattere le armate russe? Ed è la stessa folla che poi il 25 luglio butta giù il simbolo del fascismo e fa la rivolta di piazza.
Un informatore del fascismo, una delle spie, di quelli che cercavano di carpire l’umore, fa questa affermazione: coloro, il 25 luglio, il 26, che sono oggi in piazza, sono le stesse persone che prima osannavano il fascismo.
Questo è un dato di fatto. Quindi non è un popolo alla macchia. Purtroppo è un popolo che, per una serie di motivi che dicevo prima, la paura del comunista, la convenienza, l’accasarsi, la necessità di prendere una tessera per avere un lavoro, ha comunque dato un consenso diretto e indiretto al fascismo.
La resistenza non è penetrata profondamente nel tessuto di tutta la nostra società. Dobbiamo dire che la resistenza è stata plurale: alla resistenza hanno partecipato liberali, monarchici, comunisti, socialisti, democristiani: con le loro idee, con le loro prospettive, con i loro conflitti. Anche tra le varie bande partigiane, che avevano un disegno diverso. La resistenza ha avuto una articolazione plurale.
Vedete, noi abbiamo parlato per molti anni della resistenza sul piano militare, ma sotto c’erano le donne, le staffette, coloro che hanno dato rifugio ai partigiani, i medici che hanno curato i partigiani, di cui parleremo qua oggi. Ma anche lì è stata una resistenza minoritaria. Si è calcolato, per richiamare lo storico De Felice, che nel ‘43-’45 le forze in campo avevano raggiunto i 4 milioni di persone, su 35-40 milioni di italiani.
Una maggioranza di italiani è stata alla finestra.
Però nel contempo ha avuto un’importanza fondamentale dal punto di vista militare, politico e anche morale.
Dal punto di vista militare, perché le forze partigiane hanno distolto dal fronte migliaia di soldati tedeschi occupati in Italia contro i partigiani. È stato importante sul piano militare perché il fatto che i partigiani abbiano liberato le città, molte città, ha permesso di avere poi un peso, politicamente, dopo il 25 aprile: le città liberate, la lotta dei partigiani, il rigetto dell’attendismo che anche una parte dell’antifascismo voleva portare avanti, “aspettiamo che facciano tutti gli alleati”..; quella azione militare, quelle zone liberate, hanno pesato politicamente.
Se fosse passata la tesi dell’attendismo, pensate che avremmo la medesima Costituzione che abbiamo oggi? Siete convinti che avremmo l’articolo 3 [sancisce il principio di uguaglianza formale e sostanziale]? Quindi c’è stato un peso politico forte, anche nell’impegno militare.
Questo è un aspetto importante: quella minoranza di uomini e donne hanno dato dignità, hanno riscattato la maggioranza degli italiani, quelli che stavano alla finestra.
Nel dire questo non dò un giudizio, la storia non deve dare un giudizio, non è un tribunale: verifico la realtà.
E quindi è lì l’importanza, l’importanza politica, l’importanza di una dignità, di riscatto di un popolo, che ha portato poi a fare un qualcosa che non si vede più nella politica di oggi: una classe dirigente, pur diversa per orientamento politico, ha saputo mettersi attorno a un tavolo e creare una Costituzione; che non guardava al presente, agli interessi di partito, ma guardava agli interessi generali dell’Italia, di tutti gli italiani, e guardava al futuro. Per questo è una Costituzione ancora estremamente valida.
Però vedete.., il 25 aprile, i 20 mesi [di resistenza] non potevano ricostruire la cultura, il modo di essere di un popolo, di una classe dirigente. È transitata, purtroppo e non poteva essere diversamente, è transitata nella democrazia la cultura di uomini che comunque erano del fascismo.
Vi faccio tre esempi, ma importanti.
Marcello Guida, questore di Milano. Nel 1973 il presidente Pertini si reca a Milano per commemorare la strage di Piazza Fontana. Marcello Guida va per stringergli la mano e Pertini si rifiuta. Sapete perché? Perché Marcello Guida era direttore del carcere di Ventotene doveva era stato incarcerato Pertini.
Un nome ancora più pesante, Gaetano Azzariti. Presidente del Tribunale della Razza, nel 1960 presidente della Corte Costituzionale Italiana, il più alto ordine istituzionale.
Oppure Longarotti, tenente degli Alpini, fascista: schiaccia con lo scarpone un partigiano ferito vantandosi di aver fatto lo stesso nei Balcani. Ergastolo, 30 anni, 20 anni, indulto… Nel 1980 lo storico partigiano Del Boca lo incontrerà magistrato ad Aosta.
Nel 1953 non c’era più un fascista nelle carceri. Nel contempo, in quegli anni, centinaia di partigiani erano accusati e incarcerati per atti compiuti durante la resistenza.
Perché? Perché era impossibile, non si poteva cambiare un pezzo di burocrazia, di uomini, anche di politica, transitata dal fascismo alla resistenza. E questo ha lasciato il suo segno anche dopo il 1945. E lo sentiamo, lo percepiamo.
Questo è importante, diversamente non si riesce a capire quello che sta capitando.
Quello a cui oggi bisogna fare attenzione è che si tenta di riscrivere la storia. La resistenza è patrimonio di tutti, è patrimonio proprio di coloro che l’hanno avversata. Quanti uomini politici repubblichini sono transitati nella Repubblica, sono stati eletti in Parlamento, hanno fondato i loro giornali, hanno fatto le loro campagne elettorali? I partigiani hanno dato la libertà a loro. E quelle persone che sono transitate dal fascismo alla Repubblica, una parte di loro non hanno mai riconosciuto la Repubblica, hanno sempre rivendicato la fedeltà al fascismo di cui provenivano.
E questa è l’importanza della resistenza: che ha dato la libertà a quelli che l’hanno avversata. Se avessero vinto loro non saremmo qui a parlare di queste cose.
Quindi io aspetto proprio da queste aree che riconoscano che la Resistenza è la libertà e che l’antifascismo è la base della nostra Costituzione.
Vedete, l’epurazione è fallita, non poteva essere fatta più di tanto, ne andava del futuro e del presente del Paese. Il fascismo nel corso dei decenni è stato edulcorato, fatto passare come un peccato di gioventù che ha fatto anche delle cose buone. Si è alleggerita la responsabilità, si è cercato di dividere il fascismo dal nazismo. [Però...] Ricordate che i 9.000 ebrei deportati in Italia dai nazisti sono stati deportati con l’approvazione del fascismo, e che il 95% non è più tornato.
Si è cercato di equiparare partigiani e repubblicani: “Ma sì, tutti hanno lottato per l’idea di patria. Tutto sommato sono uguali.” Ma per quale idea di patria hanno lottato? Quali sono le differenze?
Uno storico come Vivarelli, storico che proviene dalla Repubblica di Salò, che è però uno storico veramente serio, io ho letto i suoi libri, ogni tanto scivola. Una volta ha affermato che la violenza fascista e la violenza partigiana sono equiparabili. Ma la violenza fascista affermava un regime totalitario e brutale, la violenza partigiana, costretta, costretta per difendere, ha affermato il diritto e la libertà.
La Costituzione è antitotalitaria, non c’è bisogno di dire antifascista, no. E’ antitotalitaria perché è antifascista. La Costituzione tedesca è antitotalitaria perché è antinazista.
Allora, dobbiamo avere il coraggio di dire che quegli uomini, quei genti, quelle donne, in condizioni di estrema difficoltà nel quadro che ho tentato di descrivere, hanno dato la loro vita per dare la libertà a tutti, a tutti. Ecco, noi dobbiamo riconoscere questo. Perché è un punto fondamentale.
C’è un paese di cui mi sfugge il nome che ha intitolato un giardino a Graziani, Rodolfo Graziani, il macellaio, quello che impiegato i gas in Etiopia, dobbiamo dirlo prima del nazismo. Gli è stato intitolato un giardino. Pensate.., io ho dei nipotini piccoli.., Nonno, nonna, papà e mamma vanno con i nipotini quando hanno 6 o 7 anni e cominciano a leggere. “Papà, nonno, chi era Rodolfo Graziani?” In genere, le strade, le piazze si intitolano delle persone che hanno fatto opere in positivo e invece le strade e le piazze vengono intitolate a dei gerarchi fascisti.
Ma cosa trasmettiamo noi al futuro? Se si legge la storia in questo modo, tra 30 anni, 30 anni cosa resterà di noi a chi porterà i figli al giardinetto?
E voglio concludere parlando dell’assunzione di responsabilità. Dobbiamo evitare che la Resistenza diventi un semplice museo, un semplice ricordo del passato, solo un pezzo di storia. L’assunzione di responsabilità vuol dire che ognuno di noi che crede in quei valori, deve far sì che vivano nella vita di oggi, che vivano nella ricerca della libertà, del cambiamento le condizioni delle persone. Perché la libertà non è un qualcosa di estratto, non è poter compare il giornale che vogliamo o vedere lo spettacolo che vogliamo.
La libertà è parlare di contenuto, è parlare di dignità. A chi non ha un lavoro, a chi non può mandare i figli a scuola, a chi non può curarsi, avere una libertà estratta non importa niente. E democrazia vuol dire applicare concretamente quei valori della Resistenza che sono transitati nella Costituzione, che fanno sì che tutti, uomini e donne, possano avere una vita dignitosa, qui e ora.
Grazie.