Put your soul on your hand and walk è un film documentario della regista iraniana rifugiata in Francia Sepideh Farsi, presentato un mese fa a Cannes nella sezione del cinema indipendente. E’ la scarna e tragica storia d‘una morte annunciata e ripresa quasi in diretta, quella della fotogiornalista gazawi Fatima Hassouna, una tra i 200 giornalisti uccisi dall’esercito israeliano nel corso della guerra a Gaza.
Questa la genesi del film e la sua storia, come ce la racconta Wikipedia qui:
Nell’aprile 2024, la regista Sepideh Farsi si era recata al Cairo, dove aveva filmato i rifugiati palestinesi nella capitale egiziana. Al Cairo, un uomo che aveva appena lasciato Gaza le parlò di Fatima Hassouna, una “giovane, brillante e talentuosa fotografa”. Farsi contattò Hassouna e, dopo sole due conversazioni con lei, nacque l’idea di realizzare un film dal suo punto di vista, sulla sua vita e su quella delle persone intrappolate nella fascia costiera regolarmente bombardata. Il film si basa su questo scambio video durato quasi un anno tra le due donne. Le conversazioni video registrate sono occasionalmente integrate da brevi servizi giornalistici che forniscono il contesto.
Clarisse Fabre e Murielle Joudet, giornaliste di Le Monde, ne hanno fatto una toccante recensione, il 17 maggio scorso. Pubblichiamo le videate dell’articolo e, per chi non conoscesse il francese, la traduzione che ci ha fornito un traduttore automatico. Non sappiamo se questa pubblicazione infranga le norme del copyright, probabilmente sì, ma l’alto valore civile di questo modo di fare giornalismo, da parte di Fatima e di Sepideh in primo luogo, ma anche da parte di Clarisse e Muriel, ci fa correre questo rischio, che non è niente in confronto a quelli che corrono loro per noi, per darci una informazione onesta.
A Gaza, la giovane donna e la morte
Clarisse Fabre e Murielle Joudet
Sepideh Farsi immortala le sue conversazioni con la fotoreporter Fatima Hassouna, uccisa in un attacco
METTI LA TUA ANIMA SULLA TUA MANO E CAMMINA
ACID
Avrebbe dovuto essere lì, ma invece la regista Sepideh Farsi ha mostrato una foto. Quella di una giovane donna con un sorriso radioso, il viso dolce incorniciato da un velo. Giovedì 15 maggio, verso le 20:00, nella sala del cinema di Cannes, il pubblico si è alzato in piedi per rendere omaggio alla memoria della fotoreporter di Gaza Fatima Hassouna, conosciuta anche come “Fatem”: il 16 aprile, all’età di 25 anni, è morta, insieme a molti dei suoi cari, nel bombardamento dell’edificio in cui viveva nel quartiere di Al-Touffah, nella parte settentrionale di Gaza City.
In momenti come questi, il pubblico del festival si sente al contempo preoccupato e impotente. Juliette Binoche, presidente della giuria del concorso di Cannes, ha reso omaggio a “Fatem” durante la cerimonia di apertura del 13 maggio. Il giorno prima, un editoriale pubblicato su Libération, con oltre 300 nomi del mondo del cinema (Pedro Almodovar, Leila Bekhti, David Cronenberg, Adèle Exarchopoulos, Ruben Ôstlund, ecc.), denunciava il “silenzio” su Gaza.
Il nome di Fatima Hassouna si aggiunge a quello dei 200 giornalisti uccisi dall’inizio dell’offensiva israeliana in rappresaglia per gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Da allora, Hassouna ha documentato la vita quotidiana degli abitanti dell’enclave, in cui Israele ha vietato l’ingresso ai giornalisti stranieri.
Rimane il documentario in cui interpreta la protagonista, “Put Your Soul on Your Hand and Walk”, dell’iraniana Sepideh Farsi, nata nel 1965 e rifugiata in Francia. Il film è presentato nella sezione parallela dell’ACID (Associazione del Cinema Indipendente per la sua Distribuzione) e l’uscita nelle sale è prevista per il 24 settembre, distribuito da New Story. La morte di Fatima Hassouna è avvenuta il giorno successivo all’annuncio della selezione del film a Cannes.
Sepideh Farsi ha specificato che la casa “Fatem” è stata oggetto di un attacco israeliano, citando le conclusioni di Forensic Architecture, con sede presso la Goldsmiths University di Londra. Questo collettivo di ricercatori e architetti utilizza dati satellitari per indagare sulla violenza di stato, sulle violazioni dei diritti umani e su altre questioni, e i suoi rapporti vengono regolarmente presentati in tribunale. “Non so come si possano descrivere persone che danno ordini simili, come eliminare una giovane donna che sta solo scattando foto. Sono immagini così inquietanti?” “Dobbiamo crederlo”, ha risposto la regista.
Durante il Festival, le fotografie di Fatima Hassouna sono esposte al Majestic Hotel sulla Croisette e al Padiglione Palestinese (Pantiero International Village). “Fatima ha detto: ‘Voglio una morte rumorosa e abbagliante, non voglio essere un numero sull’ultima pagina di un giornale!’ (…) La incontrerete, è brillante”, ha aggiunto la regista prima della proiezione.
Per un anno, Sepideh Farsi ha filmato le sue conversazioni con “Fatem”, che non aveva mai visto altro che Gaza. Il film racconta la storia di questa amicizia tra le due donne, che si sono parlate in videochat. Sepideh Farsi deve aver sempre temuto per la vita dell’amica, aver messo da parte la possibilità, aver creduto nei miracoli, pur intuendo che il film sull’amicizia sarebbe diventato anche una tomba cinematografica. Non sappiamo se, nella memoria di qualche spettatore, abbiamo mai sperimentato questo: la durata di un film come un conto alla rovescia, dove ogni secondo toglie un po’ più di vita, un po’ più di gioia, al volto di una giovane donna. Un film che racconta, in breve, la lenta scomparsa di un’immagine.
Prima di essere assassinata, a “Fatem” era già stato portato via tutto, “le cose grandi e piccole”. Cibo, una vita spensierata, il suo futuro. Come tutti gli abitanti di Gaza, ha perso decine di persone care a causa dei bombardamenti dell’esercito israeliano. Solo che “Fatem” sorride ancora. Questo è un tratto comune dei grandi documentari sulle popolazioni massacrate in guerra: sono tutti, anche, grandi film sulla vita. Perché, prima di scomparire, “Fatem” appare e indugia davanti ai nostri occhi, in questo film che cerca di registrare per sempre i pensieri e la vita di una giovane donna di Gaza, e ci connette a ciò che al mondo dell’informazione mancherà sempre: l’intimità, la sensazione di toccare una vita e, attraverso di essa, tutte le altre.
Put Your Soul… è la storia di una ragazza che, stranamente, vive: scrive poesie, sogna di viaggiare. È da questa piccola finestra pixelata, emblematica della prigione in cui si trova, che “Fatem” racconta la sua storia e ci rende attenti al minimo dettaglio che entra nell’inquadratura: i veli di diversi colori che incorniciano e illuminano il suo viso in modo diverso, il sorriso timido di un fratello minore (anche lui ucciso), il fumo che si alza da un edificio bombardato, un sacchetto di patatine che spunta nel mezzo della carestia.
Di fronte, Sepideh Farsi, iPhone in mano, offre anche lei alcune vedute di ciò che la circonda: appartamenti opulenti e ben arredati in Canada, al Cairo, a Parigi, un gatto a cui bisogna aprire la porta, libertà di movimento, elettricità, quella pace che di solito parla da sola ma che, qui, risuona crudelmente. L’intero film ruota attorno al filo spaventosamente fragile, sul punto di spezzarsi, che collega un mondo in pace a un angolo d’inferno. Una comunicazione appesa a un filo, soggetta ai capricci della connessione internet a Gaza: molto spesso, il volto di “Fatem” si blocca, scompare, si dissolve in una spolverata di pixel, una folle poesia digitale che qui parla di morte. Frammenti di frasi vengono inghiottiti, la connessione si incrina. Schermo nero.
Sepideh Farsi vuole filmare questo: questa spettralità, questa bassa definizione dalla consistenza funerea, cattura in modo sorprendente la tragedia di “Fatem”. La giovane donna sorride sempre meno, si chiude in se stessa e si sente distratta, spiega, il che le impedisce di reagire agli eventi. L’amica iraniana le dice: “Ti sto perdendo”.
Documentario franco-palestinese e iraniano di Sepideh Farsi (1 ora e 50 minuti). Al cinema dal 24 settembre.