C’è una certa urgenza di raccontare una storia e riparare un piccolo torto verso Luigi “Meo” Demaria, il comandante della Squadra di Bricherasio e della Brigata Vigone della V Divisione Giustizia e Libertà “Sergio Toja”.

Si tratta di ristabilire la verità storica di un fatto, un gesto fra tanti, avvenuto il 9 settembre del 1943 ed erroneamente attribuito a Giulio Giordano anziché a Luigi “Meo” Demaria. Non per colpa loro, che hanno trasmesso correttamente la loro memoria, ma per via di un errore contenuto in una ricerca storica che attribuisce all’uno le memorie dell’altro, e che, come spesso succede, per i misteriosi meccanismi del web prolifera fino a diventare la verità conosciuta.

Quel giorno, il 9 settembre del 1943, all’indomani del proclama Badoglio, i centoventisei prigionieri di guerra inglesi del campo PG 112/4 di Gassino, in località Castiglione Torinese, adibiti a lavori di scavo di un canale che doveva alimentare con le acque del Po una centrale della Società Idroelettrica Piemontese, vennero lasciati liberi. Tra le guardie che decisero di farlo c’era Meo Demaria.

Era rientrato convalescente dall’Africa settentrionale nel febbraio del 1943, ed a luglio era stato riaggregato al reparto e trasferito alla 114ª Compagnia custodia prigionieri di guerra a Castiglione Torinese. Forse per via del fatto che da civile era stato impiegato alla RIV, perché quella che era stata la sua azienda c’entrava qualcosa con quel campo…

Sì, perché il canale a cui lavoravano i prigionieri inglesi aveva un lungo tunnel tra la piana di San Raffaele e la Cascina Galleani a Castagneto Po, e in quel tunnel erano stati trasferiti i reparti della RIV di Villar Perosa che producevano cuscinetti per l’albero motore dello Stuka, il celebre bombardiere in picchiata tedesco. Produzione altamente sensibile..!

Meo Demaria dunque l’8 settembre 1943 era lì, di guardia al PG 112/4; questo è quel che ha raccontato a pag. 37 del numero 6A dei Quaderni sulla Resistenza in Val Pellice (qui):

Il nove settembre sono ancora andato a Torino, al campo di Borgo San Paolo, per provvedere ai viveri: sulla provinciale vedevamo dei camion tedeschi. Ci chiedevamo perché fossero ancora in Italia e non capivamo che stavano occupando il territorio.
Quando siamo ritornati sapevamo già dello sbandamento dei militari e telefonando al Comando di Torino… il piantone ci informava che non c’era più nessuno dei comandanti. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo aperto il campo: sono scappati loro, siamo scappati anche noi.

La storia di quei prigionieri liberati, storia a lieto fine, è una delle pagine umanamente più intense della Resistenza. Così la sintetizza Valdo Fusi nel suo lavoro “Fiori rossi al Martinetto”:

Ho visto prendere vita sotto i miei occhi la più straordinaria leggenda di tutta la guerra: un intero paese, animato dal parroco, rischia la sua esistenza per salvare dei prigionieri britannici, un paese di contadini, Castiglione Torinese. Durante tutta la guerra nascose, nutrì, protesse quei ragazzi; famiglie che si detestavano, senza dirselo, accantonarono ogni altro sentimento; ogni casa se ne prese uno; i tedeschi lo sapevano, compirono irruzioni, minacciarono morte; nessuno tradì i soldati del Liocorno; nemmeno i bambini parlarono.

Sotto riproduciamo per intero lo studio di Claretta Coda che ne ricostruisce la vicenda (si abbia l’accortezza di attribuire a Meo Demaria tutto ciò che è attribuito a Giulio Giordano).

Meo ritornò in valle e riprese il suo lavoro alla RIV; quando ad aprile del ‘44 gli arrivò la cartolina per l’arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale, fece la sua scelta. Il giorno 10 si ritrovò al Pilone dei Battitori, tra Bricherasio e Bibiana, con un pugno di altri ragazzi ed insieme formarono una squadra per combattere dalla parte opposta tra le fila della V Divisione GL: quella che sarebbe stata la squadra di Bricherasio.