PROCEDURE MEDICHE CON RISORSE LIMITATE

Conclusioni del dott. Marco Pinna Pintor al convegno “1945-2025, 80 anni: Memorie della Liberazione a Villafranca Piemonte”, Villafranca Piemonte 13 settembre 2025.

(Trascritto da TurboScribe.ai. Revisionato da anpivalpellice.it)

[…] La medicina partigiana aveva ovviamente risorse limitate, vedete questa è una trazione di un femore fratturato, una pietra, una corda e un gambaletto di gesso con un cinto che lo teneva. Ovviamente è impossibile mettere a posto una frattura di femore in queste condizioni perché questa non è una posizione giusta, probabilmente avrebbe avuto delle conseguenze ma in ogni caso è la testimonianza di come ci si può arrangiare quando non c’è altro.

Torino era preparata alla medicina e alla chirurgia di guerra: nel 1915, Pietro Sisto che era medico ed era stato quello con il quale studiava mio padre, e Ottorino Uffreduzzi, che era chirurgo a Torino, all’inizio della prima guerra mondiale, avevano già preparato delle linee guida e degli opuscoli sul trattamento dei feriti ricchi di informazioni. Per allora, prima dell’era antibiotica… Nel 1915 la cauterizzazione delle ferite, non dico che fosse ancora al livello di Ambroise Paré che buttava l’olio bollente sui monconi amputati, ma [si praticava ancora] la legatura vascolare e cose di questo genere.

Continua la tradizione della scuola medico-chirurgica torinese con questo manuale che è stato pubblicato dall’Utet nel 1940, il XVIII dell’era fascista Ottorino Uffreduzzi, Stefano Teneff. Chirurgia di guerra, Torino, Ed. UTET, 1940. E’ un bel libro aggiornato, sono già passati parecchi anni; siamo ancora nell’era dei sulfamidici, non c’erano antibiotici e quindi il trattamento del ferito era ovviamente in mano al chirurgo e alla sua capacità di risolvere i problemi.

Abbiamo sentito parlare [nell’intervento della Sig.ra Maria Colombo, ndr] della amputazione che il professor Colombo ha fatto con mio padre in una baita sopra Bagnolo; me l’ha raccontata mille volte, le condizioni sono state difficili, veramente risorse limitate.

In quel periodo, dopo l’8 Settembre, tra lo sfascio del fascismo e i prodromi dell’insurrezione, l’esercito che si è disciolto, i soldati, molti che finivano a fare partigiani, le fabbriche che venivano trasferite in Germania, la precettazione dei giovani per andare a lavorare e soprattutto la precettazione di alcune classi di ragazzi che dovevano andare nell’esercizio di Graziani, salta fuori questo interessante documento: sono le memorie del dottor Attilio Bersano Begey.

Chi era costui. E’ un dermatologo, primario di Dermatologia dell’ospedale Maria Vittoria di Torino; diventato poi famoso con il nome di battaglia di comandante Claudio Ferrero, è ispettore di sanità delle unità Garibaldi delle Valle di Lanzo. Era ufficiale medico, finito l’esercito torna a fare dermatologo al Maria Vittoria, la sua attività lo porta verso i gruppi della Resistenza e infine a fare il partigiano, anche se essendo un medico il suo incarico ha più un orientamento verso l’organizzazione della medicina e il trattamento dei feriti.

Il suo istituto di Torino era un punto di raccolta, non soltanto di materiale, ma era diventato anche un luogo di aggregazione della Resistenza torinese, così come lo era stata la casa di mio nonno a Torino. Vi si ritrovavano dei gruppi di resistenti di varie formazioni, quindi non tutti necessariamente legati alle Brigate Garibaldi e soprattutto prigionieri che scappavano e quindi avevano bisogno di sostegno, come è successo in Val d’Aosta per quel gruppo di fortunati che sono riusciti a emigrare in Svizzera.

[…] Nelle valli di Lanzo era prevalentemente presente la Brigata Garibaldi. Il comandante Ferrero scappa, ha una casa a Viù, lì si nascondono alcuni rifugiati e lui inizia a organizzare per le Brigate Garibaldi il servizio sanitario del Corpo Volontari della Libertà.

Ho sentito e sapevo che qui l’assistenza ai feriti di guerra era svolta dai medici di base, come li chiamiamo noi oggi, cioè i medici di paese, i medici condotti, e vi era ospitalità e aiuto, connivenza con i feriti e con i partigiani da parte della popolazione che accettava a proprio rischio e pericolo di accogliere i feriti che venivano ricoverati, curati ambulatorialmente o a domicilio se dovevano passare un decorso di degenza a letto, dai medici del paese.

E’ già stato sottolineato che da questo punto di vista la chiesa, parroci, suore, ovviamente per vocazione umanitaria si sono dedicati molto a questo genere di supporto dell’attività medica chirurgica.

Qui siamo nella Valle di Lanzo, io parlo solo della Valle di Lanzo perché mi sono interessato a questo fenomeno. I feriti di guerra in montagna si portavano su a spalle. [Immaginate] la difficoltà di fare dei percorsi che non fossero strade allora percorribili, perché i pattugliamenti e i rastrellamenti in montagna arrivavano raramente in alto, ci doveva essere un obiettivo da raggiungere. I sentieri di montagna e gli alpeggi non erano pattugliati; potevano essere [utilizzati] dei rifugi, ma non venivano utilizzati perché facendo molto freddo se si accendeva il fuoco si poteva essere facilmente individuati, [quindi i feriti] bisognava portarli lontano.

I partigiani venivano ricoverati clandestinamente negli ospedali, come è successo da queste parti; in particolare si parla dell’ospedale Mauriziano di Lanzo dove era [presente] una fitta rete di supporto, [offerta] prevalentemente dalle scuole, dalle infermiere ma anche da tutta la popolazione locale. Erano ricoverati in ospedale ma piantonati.

Nell’aprile del ‘44, come vi dicevo prima, c’è stato un ulteriore incremento sia della lotta, della guerra da quelle parti, ma soprattutto della fuga di tanti giovani che non volevano andare in Germania a lavorare incatenati o comunque non avevano altra fuga se non quella verso le formazioni partigiane.

C’è stato un grande aumento del numero dei partigiani, [e questo unito alla presenza di] capi di battaglia abbastanza importanti, ha reso necessario incrementare il servizio sanitario nelle valli di Lanzo.

Il comandante Ferrero se lo è posto come obiettivo. Lui conosceva molto bene il territorio e aveva la capacità di gestire. Vedremo come ha fatto, io penso che sia un’esperienza unica, non ho mai sentito parlare di un ospedale partigiano.

Si occupava anche dei cadaveri e questo è anche un aspetto importante dal punto di vista umanitario, cioè non lasciare che i cadaveri in montagna venissero poi magari mangiati dai lupi. [I cadaveri] venivano innevati, messi sotto la neve per essere conservati e poi recuperati e tumulati come si deve.

Chi si era occupato del recupero delle salme è Nicola Grosa, il quale aveva fatto la Resistenza, era un militare, un commissario politico delle Brigate Garibaldi e dopo la Liberazione si occupò del recupero delle salme dei caduti. A lui è intitolato quel bellissimo giardino, quel piazzale davanti al Palazzo di Giustizia di Torino, tra il San Paolo e il Palazzo di Giustizia.

Questa è la Valle di Viù, qui era la base dove inizialmente era l’infermeria perché i combattimenti si svolgevano prevalentemente in pianura, si cercava di contenerli lì. Questa valle impervia, ancora adesso è impervia, è [percorsa] fino al lago di Malciaussia da una stradina stretta, è asfaltata ma allora non lo era, era un ottimo luogo per rifugiarsi.

Che cosa fece [Bersano]? Fu requisita una villa, la villa dei fratelli Cibrario, e fu trasformata in ospedale.

Questo è com’era.

E questo è com’è oggi.

Questa villa, che era l’ospedale, aveva una dépendance per la disinfezione e disinfestazione, quindi un ospedale vero e proprio. Il personale di assistenza alloggiava lì, mentre al piano terra della villa c’erano le cucine, come si presentano oggi, ma probabilmente rimaste così da allora.

Il dottor Bersano, il comandante Ferrero, organizzò il pianterreno come reparto di chirurgia. C’era una sala di degenza post-operatoria, ovviamente attrezzata. Al primo piano abitava il personale sanitario, c’erano stanze per i pazienti cosiddetti contagiosi, o comunque potenzialmente da isolare, e per i pazienti malati, il reparto di medicina.

Questo è com’è oggi, le condizioni.

La cosa che mi ha più colpito di questa storia è la [partecipazione della] popolazione. Il comandante Ferrero aveva individuato perfettamente qual era lo zoccolo duro dell’assistenza: avere l’efficienza, avere la biancheria pulita, [garantire] che i vestiti dei pazienti potessero essere opportunamente ricondizionati. [La popolazione] si occupava, in ogni casa, di questo genere di attività.

Il cibo: c’erano dei buoni depositi di rifornimento della brigata in grado di fornire un cibo sufficiente per mantenere 60 pazienti, e c’erano 60 posti letto in questo ospedale.

La popolazione locale portava le uova, la verdura, il formaggio, quello che c’era di più che non era tanto facile trovare.

Bersano racconta un aneddoto: il vitto veniva fatto in maniera standard come in tutti gli ospedali, salvo per i prigionieri di guerra, che venivano ricoverati e curati ma erano a pane e acqua, ma non era un’eccezione che il vicino di letto che aveva da mangiare abbondantemente, la zuppa, il pane, cose del genere, dividesse il cibo con loro.

Ecco qua il comandante Ferrero con due, tre partigiani, [prigionieri dei tedeschi] che erano fuggiti.

[La villa Cibrario, a Margone] era già in alto, se vi ricordate la fotografia con la valle di Viù, Margone è proprio molto in alto e di lì si inerpica una strada tortuosa che porta al lago di Malciaussia. Ma non era sufficiente, perché il rastrellamento poteva raggiungerlo, [e allora] bisognava [essere pronti a] evacuare l’ospedale.

Per evacuare l’ospedale, [Ferrero] aveva individuato questa via di fuga, una casetta di proprietà della società idroelettrica, situata a 2400 metri sulla riva di questo lago, che è il lago dietro la Torre, che non era raggiungibile perché vi arrivano gli escursionisti esperti ma non certo delle truppe armate fino ai denti.

Ai feriti quindi veniva fatto fare questo percorso: dall’ospedale, da Margone, si scendeva fino a Crot, che è una frazione prima di Margone, […] e di lì, su un sistema di trasporto chiamato i carrelli piatti, li si portava dentro questa centrale elettrica, che era all’interno della montagna, quindi riscaldata abbondantemente dal fatto che lì c’era una produzione di energia elettrica. Non era ancora stato fatto nessun passo per distruggere le centrali elettriche, in particolare quella, che forse non interessava.

Da qui, mediante un altro piano inclinato si saliva fino al convalescenziario, che era una fortezza assoluta, per cui i pazienti erano al sicuro.

Questi sono i risultati dell’ospedale: 328 ricoverati e dimessi, 5 morti, una percentuale bassissima per essere un ospedale che ricovera feriti di guerra.

[…]

C’erano degli altri chirurghi che venivano a dare una mano a Bersano. Lui era un dermatologo, quindi faceva interventi di piccola chirurgia, medicazioni eccetera.

C’era un ortopedico famoso allora, il prof. Baj, gli altri non so che specialità esercitassero, Virando e Pieri, però comunque c’era una pattuglia di medici chirurghi che da Torino saliva a Margone per dare una mano, come hanno fatto i due fratelli Colombo.

Il comandante Ferrero scrive che ricevevano pazienti anche dalla Valle di Susa perché [l’ospedale] era famoso nelle altre zone limitrofe attraverso un percorso lunghissimo fino al Col del Lys e poi giù nella Valle di Lanzo.

[…]

Vi rubo ancora cinque minuti per parlare del tema che non mi era stato affidato, ma che per ragioni di opportunità pensavo fosse utile posporre a questa storia di medicina partigiana che forse da queste parti è un po’ poco nota.

[Quello che abbiamo visto] ha a che vedere con quello che si fa ancora oggi. Questa è una sala operatoria standard della Croce Rossa Internazionale per la quale ho lavorato che è composta da chirurgo, anestesista e due infermiere.

Come vedete la sala operatoria è abbastanza basica, la luce è collegata.

Quali sono le caratteristiche della chirurgia di guerra? L’ambiente ostile: è un problema grosso, è un problema senza soluzione. Guardando la televisione ci rendiamo conto che l’ambiente ostile ha ostacolato qualunque tipo di possibilità di fare le cose come si deve.

Sappiamo per esperienza che questa chirurgia deve poter fare a meno anche del soccorso rapido, della possibilità di fare quello che di solito gli eserciti fanno per salvare i loro feriti. Mancano le infrastrutture, manca l’acqua, l’elettricità, manca l’attrezzatura, non ci sono i farmaci, non c’è il laboratorio, non c’è la radiologia, non c’è niente. Non c’è il personale esperto, spesso c’è un unico chirurgo che deve saper fare un po’ di tutto, bisogna imparare a fare la chirurgia da campo…

Io ho imparato a fare l’ortopedico lì, prima ho fatto la chirurgia generale quindi non sapevo quasi niente di ortopedia. Però si impara in fretta perché ci sono dei buoni maestri, che sono spesso gli infermieri, che ti insegnano a fare questo mestiere.

Sangue per la trasfusione ovviamente è il farmaco più importante, è il supporto e la cosa più importante per un ferito di guerra.

Ricordiamoci che la traumatologia di guerra è differente da quella civile, produce ferite che sono contaminate subito, all’inizio e poi diventano infette se passa un po’ di tempo. Ma allora, parliamo della Seconda Guerra Mondiale, gli antibiotici non c’erano, c’era il sulfamidico, poi c’erano altri farmaci, ma adesso è un’altra questione.

Questa diapositiva mostra come si alimenta di elettricità una sala operatoria: con il motore della Jeep.

E questo è come ci si lava le mani, quando si va in sala operatoria. Quando si parla di strutture…

[…]

L’ultimissimo capitolo, che secondo me richiede una riflessione, è quello che oggi abbiamo davanti tutti i santi giorni quando apriamo il giornale e guardiamo la televisione, e cioè la completa cancellazione del diritto internazionale umanitario. Le regole che ci siamo date dopo la guerra, non noi ma chi ci ha preceduto, sono state quasi tutte cancellate: non esiste più rispetto per le Nazioni Unite, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la Croce Rossa Internazionale, per l’Alto Commissariato per i Rifugiati, per la Corte Penale Internazionale. Sono cose all’ordine del giorno.

Nei secoli scorsi la guerra era fatta da scontri tra due eserciti che si fronteggiavano. I soldati erano carne da cannone, morivano come mosche. Questa è la battaglia di Solferino, 40.000 vittime in 16 ore di battaglia campale. Si parla del 1859, c’erano più veterinari che medici a disposizione.

Un signore svizzero, Henry Dunant, fu di passaggio per un viaggio d’affari in Italia e, per puro caso, la sua carrozza è passata lì in mezzo. Lui ha tirato la tendina della carrozza e ha visto questa carneficina. E’ sceso dalla carrozza e con quelli che c’erano nei paesi intorno ha cominciato a prendere i feriti, quelli che ancora si muovevano, per portarli al riparo e vedere se si potessero salvare.

Tornato a Ginevra scrisse un libro, che è un libro storico perché da questo libro nacque il Comitato Internazionale per la Croce Rossa, 1863. Di lì poi le Convenzioni di Ginevra.

Queste sono la base di quello che vi stavo dicendo prima, questo corpo di leggi che hanno dato i natali al diritto internazionale umanitario, con varie convenzioni che si sono susseguite negli anni, protocolli aggiuntivi, ecc.

Il diritto internazionale umanitario è una branca del diritto internazionale pubblico che protegge gli individui non attivi, cioè non i soldati, non quelli che sono sul campo di battaglia, ma quelli che sono inermi, i civili nelle ostilità, e quindi dovrebbe limitare i metodi di condotta delle guerre.

[…]

Queste Convenzioni di Ginevra sono il risultato di un processo che durante gli anni ha stabilito le regole per la protezione delle vittime di guerra. Ovviamente le vittime civili; soldati, naufraghi e prigionieri fanno parte purtroppo del corpo militare, ma i civili non c’entrano nulla.

Questo corpo di leggi sono cosiddette leggi della guerra. Questo è fondamentalmente il concetto principale, questa responsabilità che i singoli stati hanno nel rispettare le leggi della guerra che sono applicate in corso di conflitti armati e anche di rispettare il diritto della Corte Internazionale per i Crimini di Guerra, competente anche per i crimini contro l’umanità.

Lo Statuto di Roma. Il caso Almasri chiama in causa il nostro governo, un criminale di guerra ricercato dappertutto che passa due giorni a guardare la partita a Torino e se ne va via dall’Italia su un volo di Stato […] anche nel nostro Paese, la Corte Internazionale per i Crimini di Guerra non viene rispettata.

Abbiamo visto il caso di Vladimir Putin che ha un mandato di cattura internazionale che viaggia tranquillo e se ne va in America; il caso di Benjamin Netanyahu che se ne va in America. Quindi queste organizzazioni che citavo prima che sono comunque dipendenti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha anche il diritto di imporre con la forza in latino si chiama ius de bellum forme coercitive per questo. Quindi questi Paesi non rispettano le regole.

Le armi messe al bando è un altro aspetto importante. Vedete Winston Churchill in India, era contentissimo per queste pallottole che avevano inventato fanno un sacco di guai, che riducono praticamente un ferito a un non salvabile.

Dalla fine del XIX secolo si è definito il concetto di sofferenza non necessaria, quella delle pallottole dum-dum non è necessaria e l’arma è stata messa al bando.

Altre armi messe al bando: le mine terrestri, le mine anti-carro, le mine anti-uomo di vario tipo. Bombe a grappolo, stessa cosa che le mine: lanciate dagli aerei lasciano per terra centinaia di mine inesplose, i campi dell’Ucraina non sono più coltivabili; sono dei dati recenti, 139 mila chilometri quadri sono coperti da mine, è il paese più contaminato del mondo, più di 6 milioni di persone potenzialmente a rischio. E per sminarlo ci vorranno chissà quanti anni.

I paesi che non hanno aderito [ai trattati di messa al bando] sono i grandi produttori delle armi: Stati Uniti, Russia, Cina India, Pakistan, Brasile, Israele, Iran. Spunta la Finlandia in rosso perché? Perché è al confine della Russia.

Le armi chimiche: messe al bando, la Convenzione di Parigi le ha messe al bando. Solo tre paesi non hanno aderito. La Siria per ultima: guardate cosa è stato fotografato da un albergo di Aleppo, questo bombardamento con cloro negato ovviamente da Bashar al-Assad.

Le armi biologiche, non sappiamo nulla.

Concludo con questa segnalazione: ci sono due manuali che la Croce Rossa mette a disposizione gratuitamente sul [suo] sito.