di Lorenzo Tibaldo*
I referendum e il loro risultato pongono degli interrogativi e suggeriscono anche delle riflessioni.
Era giusto porre queste tematiche alla consultazione popolare? Era giusto affrontare dei referendum, su temi specifici, alla luce del fatto che dal 1997 ad oggi solo un referendum (sull’acqua pubblica) su 9 aveva raggiunto il quorum?
Sicuramente sui temi posti sarebbe stato utile che fosse il legislatore a dare delle risposte, ma quando questo non avviene è legittimo il ricorso al referendum per forzare la mano, anche se su aspetti specifici e non trasversali alla società è più difficile il coinvolgimento. Inoltre, diciamolo francamente, tra molti degli stessi promotori vi era un forte scetticismo di giungere al quorum non solo per quanto era già avvenuto in passato ma anche per il forte astensionismo (ricordiamoci delle elezioni europee: 49,68% di votanti). Inoltre, un altro aspetto che ha pesato (oltre alla campagna non voto della Destra e alla poca informazione) è stata l’eccessiva politicizzazione del voto, come giudizio sul governo ancor prima che sui contenuti dei referendum.
L’insuccesso sta non tanto nel non raggiungimento del quorum, quanto nell’affluenza alle urne. Una partecipazione del 40-45% avrebbe dato un forte significato politico di risveglio della voglia di partecipazione, della volontà di cambiamento che vuole far sentire la propria voce.
Il significato di fondo importante è che si è data voce a una consistente fetta di elettori che crede ancora all’importanza del voto e al cambiamento e si è anche dimostrato che esistono forze (Anpi compreso) che vogliono portarlo avanti.
Si è data una speranza, si è iniziato a percorrere una strada lunga e accidentata. Con il rischio anche di sbagliare. Meglio, tuttavia, che stare fermi e immobili.
* Lorenzo Tibaldo è Presidente del Comitato Val Pellice per la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione.